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“Vita da soldato” è l’intestazione di un quadernetto dove, a matita, il soldato Gianmaria Pelicioli descrive i suoi sette anni - dal 1938 al 1945 - trascorsi tra servizio militare e guerra. E’ un diario particolare dove sono annotati con precisione e in sequenza date, luoghi e spostamenti senza però alcuna aggiunta descrittiva dei fatti, quasi a voler conservare nella memoria solo dei punti fissi e tenere dentro si sé il tumulto delle emozioni che l’hanno travolto nei momenti drammatici vissuti.


MicroOsio ha già dedicato articoli a persone di Osio Sopra che hanno vissuto al fronte la tremenda esperienza della guerra. Riportiamo pure quello di Gianmaria Pelicioli per meglio comprendere il contributo che la nostra comunità ha dato per costruire un’Italia libera. Oltretutto, ricorrendo quest’anno il 70° anniversario della liberazione, la loro esposizione è come un documento di “storia” narrata in presa diretta e può aiutare a meglio comprendere i fatti e gli avvenimenti di quel difficile periodo.

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Come detto, Gianmaria non ha esternato nel diario le sue emozioni; tuttavia la drammaticità degli eventi l’ha profondamente toccato sicché “per tutta la vita ogni notte rifaceva il percorso di quegli anni atroci e non mancava mai di raccontare a tutti l’esperienza vissuta”; così testimonia la figlia Cecilia che per infinite volte ha sentito da lui narrare con copiosi particolari la storia descritta nel suo diario. Il racconto che segue si basa dunque sulla dettagliata cronologia degli avvenimenti così come riportati nel diario “Vita da soldato”, corredati dai ricordi che lo stesso Gianmaria era solito riferire alla figlia. Per migliore comprensione sono anche aggiunte annotazioni di contesto storico.

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Gianmaria Pelicioli nasce a Viadanica e a soli tre anni la sua famiglia si trasferisce a Osio Sopra. Classe 1919, egli a 19 anni, per imparare un mestiere, si arruola nell’esercito a fine 1938. L’Italia non è ancora in guerra e ben lontano da lui è il pensiero di dover andare al fronte. A Modena prima e a Cremona poi acquisisce la specializzazione di meccanico motorista e conducente di mezzi.

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Le vicende di guerra

Nel marzo 1940 diventa istruttore delle reclute del 1920. Il 10 giugno 1940 l’Italia entra ufficialmente in guerra e Gianmaria si trova al fronte della “guerra delle Alpi” contro la Francia prima al Col di Tenda e poi a Briga Marittima e verifica l’assurdità di quella guerra che, in pochi giorni, costa agli italiani oltre 600 vittime e 200 feriti. Dopo l’armistizio di Val Incisa del 24 giugno, la sua vita militare trascorre tra grandi manovre ed esercitazioni fino alla fine del 1940 allorquando è inviato in Albania.

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Sbarca a Durazzo il 2 marzo del 1941 ed è subito in prima linea sul fronte greco. Come artigliere del settimo gruppo terza batteria della Divisione di fanteria “Acqui” partecipa a tutte le vicende belliche delle isole egee Corfù e Zante fino allo sbarco a Cefalonia avvenuto, dopo una serie di peripezie, il 9 aprile del 1942. Viene trasferito ad Argostoli di Cefalonia a fare da autista ad un generale. Si ammala in seguito di malaria e appena guarito ottiene la licenza per rientrare in Italia; simpatica la sua descrizione del viaggio che, nella sua stringatezza, ricalca lo stile dell’intero diario:

“19-11-42  che poi sono partito con la licensa di un mese sono sbarcato a Patrasso il 12.11.42 e sono stato fino al 1.12.42; poi sono partito per Atene ove appena arrivato presi la tradotta per l’Italia, e sono arrivato a Postummia  (Postumia) il 12.12.42. là mi sono fermato a fare la contumacia (n.d.r  in termini medici significa quarantena) fino il 23.12.42 poi sono partito per casa che sono arrivato verso le ore 10 del 23-12-42”.

Dopo un mese di sosta in famiglia, riparte per la Grecia con una tradotta che lo conduce a Patrasso in attesa dell’imbarco per Cefalonia. Giunto nell’isola, riprende il posto di autista al suo generale e, quando costui rientra in Italia, torna alla suo ruolo d’artigliere quale capo della mitragliera.

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L’eccidio di Cefalonia

Da quel momento si susseguono i più angosciosi avvenimenti. L’isola di Cefalonia è considerata dall’Asse italo-tedesco di importanza strategica per il controllo del Mediterraneo orientale. Su di essa sono concentrati 11.500 uomini di truppa e 525 ufficiali della Divisione di Fanteria di Montagna “Acqui” – della quale fa parte Gianmaria - oltre che della Marina; sono di stanza anche 1800 tedeschi con 25 ufficiali. Il rapporto di forze è di 1 a 6.

L’8 settembre 1943 l’Italia stremata dalla guerra chiede l’armistizio; da quel momento, data la confusione e la contraddittorietà degli ordini che provengono dall’Italia dal Comando Generale, la Divisione Acqui attestata a Cefalonia è abbandonata a se stessa mentre i tedeschi fanno affluire sull’isola ingenti forze appoggiate anche dall’aviazione. Le decisioni da prendere sono drammatiche: continuare a combattere a fianco dei tedeschi, cedere le armi o combattere contro i tedeschi.

Per conto loro i tedeschi intimano agli italiani la resa incondizionata e la consegna delle armi. Dopo un referendum tra le truppe, il comando della Divisione Acqui decide di ribellarsi al sopruso e combattere. Seguono giornate di furiosi combattimenti. Gli italiani, pur in numero maggiore ma male armati, alla fine nulla possono di fronte ai bombardamenti dall’alto dei terribili Stukas tedeschi; il 22 settembre ha termine la battaglia con la resa degli italiani.

Si riporta quanto scritto nel diario da Gianmaria con il suo stile lapidario:

“poi rientrai di nuovo alla mia batteria che dopo qualche giorno andai a Kotroni a far fare la casetta per l’osservatoria con tre uomini e la sono stato fino a che abbiamo combattuto contro i tedeschi che poi il giorno 22-9-43 mi presero prigioniero i tedeschi a Mimes e lo stesso giorno mi portarono alla caserma Mussolini ove eravamo concentrati tutti i rimasti”.

La rappresaglia dei tedeschi è terribile con esecuzioni di massa sul campo di battaglia; le perdite umane degli italiani sono enormi. Da documenti di ricostruzione storica emerge: su 525 ufficiali, 65 cadono in combattimento, 189 sottoposti ad esecuzione sommaria dopo la cattura, 136 fucilati con plotone di esecuzione; superstiti 135. Dei sottufficiali e uomini di truppa: 1250 caduti in combattimento, 5000 sottoposti ad esecuzione sommaria in massa dopo la cattura, superstiti 2250.

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La prigionia

Tra i superstiti c’è anche Gianmaria Pelicioli che, appena catturato, sta per essere fucilato ma per evento fortuito scampa all’eccidio. Tuttavia egli assiste alla triste sorte dei suoi compagni che, dopo essere stati fucilati, sono cosparsi di benzina, bruciati e gettati in pozzi e dirupi. La disumana esecuzione dura due giorni. Tremila superstiti, quale palliativo di rispetto delle convenzioni sui prigionieri di guerra, sono imbarcati in turni successivi su tre navi per essere avviati a campi di prigionia in Germania. Anche in questo caso a Gianmaria arride la sorte: non viene imbarcato perché obbligato, da prigioniero internato, a prestare servizio in un ospedale militare tedesco. Due delle tre navi affondano perché incappano, appena salpate, su fondali minati. Una terza è affondata perché bombardata dall’aviazione britannica. Di tutto questo Gianmaria riporta nulla nel suo diario; fa solo accenno alla sua permanenza sull’isola, durata oltre un anno, come semplice infermiere e autista:

poi loro sono partiti per la terra ferma e il giorno 25-11-43 io sono andato all’ospedale da campo 37 con la mia macchina e la sono stato fino al 1.10.44 che poi mi hanno mandato ad Astakòs come infermiere con un tenente medico e tre altri infermieri e la siamo stati fino al 7-12-44.”.

Non c’è altro rispetto ai fatti atroci successi e su come Gianmaria l’abbia scampata.

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Soccorrono a dare informazioni al proposito le note riportate sul suo “Foglio matricolare” rilasciato dal Distretto di Monza: “catturato dalle truppe tedesche e internato in Grecia il 22.9.1943; evaso dalla prigionia e consegnatosi alle truppe alleate il 3.10.44".

L’evasione dal campo di concentramento

In merito all’evasione dal campo di concentramento c’è il racconto della figlia Cecilia alla quale egli aveva confidato l’epilogo della sua storia a Cefalonia. “Alla fine del 1943 quale autista porta un capitano tedesco da Argostoli a Sami perché deve imbarcarsi; lì, approfittando di un momento di disattenzione dell’ufficiale, scappa sulla montagna dove si trova la batteria “Mazzoleni”, i cui componenti sono riusciti a sfuggire alle atrocità tedesche. Gianmaria riesce a lasciare Cefalonia imbarcandosi su una nave inglese come infermiere con un medico che accompagna la Batteria “Mazzoleni” .

Il Diario poi prosegue:

“il 7-12-44 e poi mi sono imbarcato per Patrasso e la sono stato fino il giorno 11-12-44 che ci siamo imbarcati per l’Italia, dopo due giorni di viaggio siamo arrivati al porto di Taranto ove siamo stati inviati in campo contumaciale e la sono stato fino al 27- 12-44 poi sono partito per Loco Rotondo alla 152^ Zezione di Sanità poi il giorno 3-1-45 siamo partiti per Firenze…”.

Da questo momento inizia l’avanzata verso il nord con i reparti anglo-americani. Tutto il prosieguo del diario non riporta altro che date e luoghi senza minimamente fare accenno alle imprese compiute; cita solo il “ruolo” ricoperto: l’autista di “Truck” (camion in dotazione agli alleati) nonché gli acciacchi di salute:

“poi la mi sono ammalato di utite e mi hanno ricoverato il 13-1-45 all’infermeria 54° e la sono stato fino al 26.1.45 e mi ha inviato all’Ospedale dei Miracoli sotto osservazione e la sono stato riconosciuto per causa di servizio e mi anno dato 30 giorni…” .

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La partecipazione alla guerra di liberazione

Eppure, assieme al suo diario Gianmaria conserva un documento importante: un encomio individuale rilasciato dal Generale L.K. Truscott del Quartier Generale Quinta Armata degli U.S.A. “Encomio al Caporal Maggiore Gianmaria Pellicioli – questo documento attesta che il soprannominato soldato della 210^ Divisione di Fanteria Italiana aggregata alla V^ Armata degli Stati Uniti d’America, ha prestato servizio encomiabile per la sconfitta definitiva del nemico comune per la liberazione del paese”. Il documento porta la data del 30 giugno 1945 e il suo foglio matricolare riporta anche come egli fosse “Incorporato nel C.L. (Comitato di Liberazione).

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Chi ha conosciuto Gianmaria ha sempre apprezzato la sua bonaria ironia; anche nel suo diario traspare in parte questo aspetto. Pur meritandosi l’encomio del Generale americano, così egli scrive rispetto… all’avanzata con l’esercito alleato:

“Al mio reparto mi diedero il Truk (camion) coi … e facevo servizio lì a fare le spese ecc. ecc. Poi andò con l’ospedaletto in linea a Monte Piano (vicino a Prato) e pure là facevo lo stesso servizio. Poi ci fu stato lavanzata e noi abbiamo spostato subito a Poggio Rusco (provincia di Mantova) il 2.5.45. (a guerra finita) di qui per la prima volta dopo tre anni andai a casa con la mia macchina il giorno 8.5.45 e ripartii il giorno dopo, ogni tanto qualche scappata anche con l’autoambulanza si fanno sempre e anche di frequente”.

Toccante è la descrizione che fa la figlia Cecilia a riguardo di questa “scappata a casa”: “per paura di trovare brutte sorprese si fermò da un suo fratello che lo fece lavare e sbarbare e poi lo accompagnò a casa. In paese erano tutti increduli, la mamma soprattutto, perché lo credevano morto. Non dimenticò mai i pianti di gioia dei suoi compaesani quando lo videro arrivare”.

Dopo aver passato peripezie di ogni genere in guerra senza minimamente fare accenno a quanto ha dovuto subire, Gianmaria si sofferma invece su un episodio accadutogli quando, a guerra ultimata, è ancora in stato di ferma:

“Il giorno 8.8.45 ero andato a Mestre a prendere il mio comandante quando nel ritorno volle guidare lui. Arrivati a Padova a un paesetto chiamato Mestrino disgraziatamente scoppiò una gomma anteriore destra la quale per causa della strada bagniata fece uno sbandamento che andammo a sbattere contro un paracarro poi contro una pianta e si siamo fermati in una fossato alla sinistra incendiandosi pure la macchina. Eravamo in quattro dentro e siamo riusciti a uscire tutti e per una grande grazia non ceravamo fatti niente nessuno solo qualche piccola botta e basta. A quello che avevo visto io non avrei più creduto di uscirne ancora, la macchina era fuori uso al completo e poi per finire bruciò tutto il davanti e poi riuscimmo a spegnere coprendo di erba e terra le fiamme”.

Si può quasi intravedere una certa ironia, dato il dettaglio con cui scrive la vicenda rispetto ad altre più tremende, forse a voler dire: “Guarda te, se dopo averla scampata alla fucilazione dei tedeschi e all’affondamento delle navi dovevo proprio lasciarci le penne per un incidente stradale e nemmeno in azione di guerra…”.

Il ritorno a casa

Il diario “Vita da soldato” così si conclude:

“Il 20.8.45 o versato (?) le macchine a Poggio Rusco e poi sono stato trasferito a Milano all’ospedale Giovanni delle Bande Nere. Là il 27.8.45 ebbi la licenza della prigionia di due mesi. Terminata manno trasferito al distretto militare là poi mi hanno congedato subito. Il congedo me lo hanno rilasciato il 7.11.45”.

Per tutta la vita Gianmaria ha poi corredato il suo diario con una copiosa raccolta di libri, documenti e ritagli di giornali che parlavano dell’eccidio di Cefalonia; tutto ciò assieme alle numerose attestazioni di merito ricevute a distanza di anni dalla fine della guerra; tra queste significativa quella del riconoscimento di “Partigiano” da parte del Presidente Pertini sia per la battaglia di Cefalonia sia per tutto quanto in seguito avvenuto per la Liberazione a fianco degli alleati.

Gianmaria al proposito non si è mai considerato un eroe, anzi; non ha mai portato vanto delle medaglie perchè si considerava solo un fortunato superstite; nei racconti ai suoi cari e ai suoi amici trasparivano soprattutto il dolore per la perdita di tanti compagni d’arme e l’angoscia di quei momenti.

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Epilogo

Nel 1968 ha voluto tornare a Cefalonia sui luoghi dove aveva vissuto l’esperienza più terribile della guerra, quasi come un pellegrinaggio per commemorare i suoi compagni caduti. In calce ad uno dei libri che conservava è riportata questa specie di epigrafe: 

NON DOMANDATE CHI SIAMO
NON CERCATE IL NOSTRO VOLTO
NON ABBIAMO NOME
IL NOSTRO VOLTO
E’ QUELLO DELLA PATRIA
RICORDATECI

E’ anche quanto MicroOsio intende fare con la pubblicazione delle memorie dei cittadini di Osio Sopra che hanno sacrificato anni della loro giovinezza o addirittura la loro stessa vita per ridare la libertà alla nostra terra.

 


V.F (Settembre 2015)

Note

tutto quanto riportato nell’articolo (diario, foto ad altro) si basa sulla copiosa documentazione gentilmente messa a disposizione dalla figlia Cecilia che MicroOsio ringrazia anche per le testimonianze orali fornite.

Le annotazioni e i dati storici a corredo sono tratti dal libro “Cefalonia- Corfù settembre 1943” a cura dell’Associazione Nazionale Superstiti e famiglie caduti della Divisione “Acqui”.