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tn sposaUn vecchio foglio di protocollo, trovato fra poveri ricordi di famiglia in un cassetto, può far scoprire consuetudini, oggi scomparse, che hanno segnato la vita di generazioni di un tempo ormai lontano.

E per non dimenticare la semplicità e la fatica del vivere di quel tempo si può condividere un momento significativo della vita di una donna.


La stesura di questo documento avvenne il 3 aprile 1913, cinque giorni prima del matrimonio. 

Nel primo Novecento le famiglie dei futuri sposi, prima del matrimonio, affidavano a una persona di famiglia o amica - in questo caso è il sarto di fiducia – il compito di redigere un elenco completo dei beni in tessuti, oggetti di casa e mobili (in questo caso anche la stima del comò, il pezzo più costoso) che consentivano alla famiglia della sposa di quantificarne la dote e il corredo.

La "Picola memoria della dote" veniva poi consegnata al marito come prova che la donna aveva contribuito a metter su casa.

Non deve essere stata una ricca dote, ma sufficiente per iniziare una nuova vita nella casa probabilmente dei suoceri, dove dovevano essere predisposte la cucina e una camera per i futuri sposi. La dote, più o meno ricca, era adeguata alle possibilità economiche della famiglia della sposa e allo status sociale dello sposo a cui veniva concessa. La dote era anche un onere per la famiglia della sposa che, non lavorando durante il matrimonio, non faceva pesare sul reddito del marito l’acquisto di indumenti e biancheria per la famiglia.

Il futuro sposo, oltre a dover portare una sua dote, in genere la biancheria personale e i mobili più importanti (la madia, il tavolo, le sedie, il letto, la chincaglieria della cucina) garantiva, con il suo lavoro, il mantenimento della futura famiglia.

I capi della dote erano confezionati in casa dalla futura sposa o dalla madre; solo le famiglie più ricche affidavano la confezione dei diversi capi di biancheria e i ricami a persone estranee alla famiglia, in genere alle suore.

Ecco la "Picola memoria della dote" di una futura moglie:

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Fa sorridere pensare a quanto contenuta fosse ai primi del Novecento la spesa per la dote di una figlia - di famiglia contadina - che non chiedeva batterie da cucina e non pretendeva sicuramente il viaggio di nozze. La festa del matrimonio doveva effettuarsi modestamente presso una trattoria del paese o anche in casa alla presenza di pochi intimi.

Il giorno successivo al matrimonio la sposa era già nella casa dei suoceri dove avrebbe provveduto a diverse mansioni: andare al pozzo a prendere l’acqua, accendere e mantenere il fuoco nel camino, cucinare, lavare i panni al lavatoio pubblico o in casa nel mastello di legno, rammendare, cucire, fare la calza e sbrigare tutte le altre faccende di casa, sempre in compagnia della suocera.

Sono cambiati i tempi e … le suocere.

La generazione di questa donna ha dovuto affrontare due guerre: quella del 1915-18, quando i giovani maschi erano richiesti dal fronte, l’intermezzo ventennale del Fascismo, la seconda guerra del 1940-45. Le donne, preoccupate per mariti e figli in guerra, non avevano tempo per occuparsi di se stesse: dovevano provvedere alla conduzione della casa senza uomini e trovare i mezzi di sussistenza … in attesa di una cartolina che troppe volte non arrivò.

Arrivarono più tardi i monumenti ai caduti!

Curiosità

Il valore della dote, pari a circa 324 lire del 1913, equivale all’incirca a 1281,25 euro del 2015, stipendio base di molti lavoratori.

La famiglia, quasi sicuramente contadina, non poteva disporre di tanto denaro, pertanto la maggior parte dei capi era recuperata da stoffe già di proprietà della famiglia e poi impreziosite dal confezionamento, dai ricami e dai pizzi, e infine valutate dal sarto di fiducia.


MicroOsio (Novembre 2015)

Categoria: Testimonianze e ricordi
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