tn brasile4Un caso di emigrazione documentato di fine ‘800.

Ogni tanto, a tavola, questa storia dei parenti all’estero saltava fuori e Michele, mio padre, dichiarava "autorevolmente" di aver sempre saputo che si trovavano in Argentina. Glielo aveva detto suo nonno Pietro Carlo (per lui autorità indiscussa), il quale a sua volta ricordava che, quando era piccolo, suo padre gli parlava di suo nonno che leggeva le "buste" che il fratello, per un certo periodo di tempo, inviava al resto della famiglia rimasta ad Osio Sopra.


Durante un mio lavoro di ricerca negli archivi storici del comune e della parrocchia (1993), di questo accadimento però non trovai traccia e il fatto rimase lì, fermo cristallizzato nel tempo, 

Nel 1997, quattro anni dopo la pubblicazione della ricerca, una sera d’estate al rientro dal lavoro, mia madre mi disse che dei brasiliani, marito e moglie, volevano incontrarmi senza specificarne le motivazioni. L’incontro avvenne e, con mia grande sorpresa, conobbi proprio uno dei discendenti di quei lontani parenti che erano emigrati da Osio Sopra nella seconda metà dell’800. Telmo Brugalli Flores, questo era ed è il suo nome e cognome, originario di Campo Grande dello stato del Mato Grosso do Sul della Repubblica Federale del Brasile.come un libro mai aperto appoggiato su uno scaffale.

Dunque questa storia dei parenti emigrati era vera, anche se l’Argentina non centrava per niente, tuttavia almeno il continente, Michele,  l’aveva "autorevolmente" azzeccato. La cosa che mi incuriosì subito fu quella "elle" in più nel cognome certamente, ne dedussi, doveva trattarsi della sua versione sudamericana.

Mi parlarono di Giovanni Battista Brugali, nato a Osio Sopra, finito a lavorare nelle piantagioni di caffè nel Mato Grosso do Sul con tutta la sua famiglia dalla quale si sono originate le diverse generazioni dei Brugalli e di cui Telmo era uno dei tanti.

 

Le premesse economiche ai fenomeni migratori nella bergamasca di fine ‘800

Il miglioramento congiunto dei sistemi agrari di coltivazione e dei sistemi di trasporto, introdotti con la Rivoluzione Industriale, avviarono una globalizzazione dei mercati a partire dagli anni ’50 del XIX secolo. In pratica, sul mercato europeo, si resero disponibili abbondanti quantità di frumento e di mais a prezzi più concorrenziali provenienti dalle produzioni americana e asiatica.

La velocizzazione dei sistemi di trasporto, grazie al vapore, aveva reso meno critica la gestione del "pest-control" ovvero il controllo degli agenti infestanti (roditori e insetti), che inesorabilmente compromettevano la qualità di queste derrate quando venivano trasportate via mare coi velieri, molto più lenti.

La depressione dei prezzi italiani fu immediata: dalle 33£/q grano del 1880, si passò alle 22£/q del periodo 1886-87 a fronte di un aumento delle importazioni che passavano da 1,5 milioni a 10 milioni di quintali. Nella bergamasca la fluttuazione dei prezzi di mercato, per grano e mais, seguì l’andamento nazionale mostrando trend entrambi negativi (anche se più marcato per il grano).

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Il reddito nazionale compreso nel periodo 1880-86 incrementò solo dello 0,01%, mentre la disoccupazione cominciò ad impennarsi.

Nel 1882 il prefetto di Bergamo in una relazione sui salari degli addetti all’agricoltura evidenziava come “…sono cresciuti nell’ultimo decennio in minori proporzioni dell’aumento del prezzo dei generi di prima necessità…”.

Questa congiuntura economica negativa aveva però manifestato le sue prime avvisaglie verso l’inizio della seconda metà del secolo, generando ondate migratorie verso i paesi europei ed extra-europei. In particolare nell’America Latina il Brasile si distinse per la politica di incentivazione immigratoria che portò all’accoglienza di un notevole numero di immigrati fra i quali trovarono spazio anche i bergamaschi.

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L’abolizione della schiavitù, fatta col decreto del 13 maggio 1888 dal governo brasiliano, gettò in una profonda crisi di manodopera le piantagioni di caffè, all’epoca il principale prodotto di esportazione e una tra le maggiori voci di rendita economica nazionale.

Il governo federale di Rio aveva già da tempo stipulato dei contratti con alcune compagnie private al fine di poter predisporre e attuare dei veri e propri flussi immigratori i quali dovevano prediligere i gruppi famigliari piuttosto che i singoli poiché l’obiettivo era quello di creare una forza lavoro qualificata, demograficamente attiva e numericamente forte per poter colonizzare vasti territori non ancora produttivi. L’incentivo era rappresentato dal pagamento dell’intero costo di viaggio a tutti i membri del nucleo che, nella maggioranza dei casi, dato lo stato di estrema povertà non sarebbe stato in grado di sostenerlo.

In un volantino pubblicitario del 1876 della compagnia di navigazione "Servizio Postale Francese", che faceva scalo al porto di Genova, il costo per un posto di 3° classe fino a Rio de Janeiro era di 320 Franchi.

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La compagnia esigeva il pagamento anticipato e specificava ‘in oro’ e poiché si aveva a che fare con famiglie numerose il tariffario assumeva questa connotazione:

    • ragazzi da 12 a 8 anni pagano ½ posto;
    • da 8 a 3 anni ¼ posto;
    • al di sotto di 3 anni nulla in ragione di uno per famiglia, gli altri pagheranno ¼ di posto ciascheduno.

La compagnia La Metropolitana di Rio de Janeiro si organizzò per l’introduzione di un elevato numero di immigrati con l’obiettivo di collocarli preferibilmente nelle varie fazendas delle 3 principali aree caffeicole del paese che erano gli stati di: São Paulo, Paranà e Mato Grosso do Sul nel sud del paese.

La macchina organizzativa si mise in moto e la propaganda di reclutamento portò all’ingaggio di agenti e subagenti italiani dall’operato poco trasparente e alquanto privo di scrupoli. Nel 1875-76, in provincia di Bergamo c’era una loro sede operativa a Calvenzano, mentre a Covo era attivo un loro subagente. Intere famiglie, dopo aver venduto quel poco che possedevano (mobilio, animali, attrezzi agricoli), partirono per la destinazione d’imbarco (il porto di Genova), senza la corretta documentazione necessaria per l’espatrio o peggio senza la completa copertura del costo di viaggio per tutti i membri della famiglia. Il che si traduceva nell’impossibilità di partire con l’obbligo (imposto dalle autorità portuali), del rientro ai luoghi d’origine ma, questa volta, in condizioni ancora più disperate dato che le spese di viaggio dovevano essere sostenute dalle opere di carità e dagli enti di assistenza pubblica.

il prefetto di Bergamo, rispondendo a un’indagine voluta dal Ministero dell’agricoltura nel 1882, così commentava il fenomeno:

“Pur troppo è vero che in molti casi i braccianti partono a famiglie intiere, e che prima di partire alienano, non la terra (che nessuno di essi possiede), ma gli animali, gli attrezzi rurali, il mobilio di casa; in una parola quanto possiedono, per realizzare il maggior peculio possibile, col quale devono far fronte alle spese di viaggio ed ai primi bisogni appena arrivati sul suolo straniero. Non di rado quegli infelici, arrivati al porto di mare, non trovano mezzo di imbarcarsi, e son costretti a rimpatriare coi soccorsi della carità privata o per provvedimento dell’autorità di pubblica sicurezza.”

Le zone maggiormente coinvolte dal fenomeno furono il circondario di Treviglio e tutta la bassa pianura limitrofa. Nel 1891 furono censite, per quest’area della bergamasca, 6000 partenze pari al 5% della popolazione allora residente. La Lombardia, nella prima ondata del flusso migratorio degli italiani, aveva contribuito con oltre l’8%,  mentre il 30% toccò al Veneto.

Sarà solo il crollo del prezzo del caffè, avvenuto nei primi anni del ‘900, a far calare significativamente la domanda di manodopera e, di conseguenza, a far segnare il passo all’emigrazione; con 2567 partenze, il 1897 fu infatti l’ultimo anno caratterizzato da un esodo massiccio dalla bassa bergamasca verso il Brasile.

 

Aspirazione e prospettive economiche degli emigranti italiani di fine ‘800 in Brasile

Come anticipato, fu la macro regione composta dai 3 stati del sud ad ospitare la maggior parte del flusso migratorio italiano che era composto da 2/3 da veneti, friulani e trentini e per 1/3 da lombardi. Il porto di sbarco era Rio de Janeiro da qui venivano poi trasportati, sempre a spese del governo, nello stato di São Paulo che, all’epoca, era l’unico che poteva accollarsi le forti spese di gestione della manodopera europea.

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Qui avveniva lo smistamento degli immigrati con l’assegnazione al nucleo coloniale o alle fazendas che rappresentavano la tappa d’arrivo e coincidevano col nuovo punto geografico da dove la loro vita sarebbe ripresa.

L’allora "nucleo coloniale" brasiliano era per definizione l’equivalente economico-produttivo (fatta eccezione per le dimension) dei nostri "stalù" ovvero un insieme di nuclei famigliari raccolti in un complesso di edifici contigui e funzionali alla conduzione lavorativa agricola e alla vita quotidiana degli individui. Tali aggregati economici erano solitamente divisi in lotti tra i 25 e i 60 ettari, erano concessi esclusivamente a famiglie e dovevano essere riscattati ratealmente a partire dal secondo anno, ossia dopo aver effettuato il primo raccolto. I coloni ricevevano una casa provvisoria (molto spesso erano vere e proprie baracche), sussidi alimentari, attrezzi agricoli e sementi da rimborsare successivamente.

Inoltre si assumevano l’obbligo del disbosco di almeno una parte del lotto assegnato (cosa non facile vista l’invasività della vegetazione lussureggiante), della preparazione del terreno per le coltivazioni, della semina, della costruzione della propria abitazione e dell'apertura di strade e sentieri per delimitare i confini della proprietà. Tra le difficoltà vi furono: lo scontro con gli indios (si fecero diverse spedizioni punitive e razzie), l’eccessivo costo dell’assistenza sanitaria dovuto alla dispersione sul territorio dei nuclei (il medico spesso veniva chiamato solo all’ultimo momento cioè quando ormai era troppo tardi) e l’inefficienza della viabilità che ostacolava l’accesso alla commercializzazione dei prodotti sul mercato.

Tuttavia il fatto di diventare proprietari del ‘pezzo’ di terra assegnato, dovette, stando agli storici italiani che hanno studiato il fenomeno, dare un forte spirito di positività creando un’attenuazione per le preoccupazioni per il futuro inducendo una percezione di ‘promozione’ rispetto alla situazione lasciata in patria.

E tutto questo a ragion veduta poiché, dati alla mano, una rilevazione del 1920, condotta sullo stato economico degli immigrati residenti nei 3 stati, evidenziava che le proprietà agricole in mano agli italiani erano pari al 15% nel Paranà e del 30% rispettivamente per gli stati del Mato Grosso do Sul e di Santa Catarina.

Chi invece restava nello stato di São Paulo aveva forti probabilità di essere destinato alle fazendas che mantenevano in vita la forte vocazione padronale-latifondista, all’epoca, in forte sofferenza per l’abolizione della schiavitù. Il mondo della fazenda era un mondo di segregazione, fatto di disciplina coatta, violenza e molestie sessuali. La volontà del proprietario o dell’amministratore era legge e quasi non esisteva libertà personale; contrarre un debito avrebbe significato inchiodare l’intero nucleo famigliare per un lungo periodo di lavoro. Ci furono reazioni di protesta e, tra queste, la più efficace costituì l’abbandono della piantagione alla fine di ogni anno agricolo per cercare altre fazendas con migliori condizioni economiche, o per trasferirsi nei centri urbani oppure, ultima spiaggia, per rimpatriare.

Giovanni Battista con la moglie e 3 figli, arrivò in Brasile, con tutta probabilità, nel periodo compreso tra il 1872-1874 e venne registrato col cognome Brugalli. Stando a quanto pubblicano sul loro sito i pronipoti, fu destinato direttamente (o indirettamente, per sua fortuna) ad un nucleo coloniale dello stato del Mato Grosso do Sul.

Il 21 dicembre 1883, gli venne assegnato provvisoriamente il lotto di terreno n.6 da 242.000 mq, il cui proprietario era tal Araujo Souza Line. Finalmente nel 1895 ottenne, oltre all’assegnazione definitiva del lotto 6, anche quella per il n.5 di 121.000 mq; in definitiva dopo circa 20 anni di duro lavoro e di riscatto, Giovanni Battista con la sua famiglia divenne proprietario dell’azienda agricola che aveva in dotazione 363.000 mq di terreno.

 

La storia di Giovanni Battista Brugal(l)i

Giovanni Battista, ottavo di nove figli, nacque ad Osio Sopra il 23 giugno 1833, alle 4 di mattina, da Elisabetta Cologni sposata con Bernardino Brugali il 7 maggio 1813 sul finire del periodo della Repubblica Cisalpina.

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ALBERO GENEALOGICO BRUGALI - Osio Sopra

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All’età di 30 anni, nella chiesa di S. Lorenzo di Mariano al Brembo, il giorno martedì 20 gennaio 1863, sposò Silvestra Ongari. La sposa, orfana dei genitori, venne adottata da Lorenzo Armanni e Angela Carminati (residenti in Mariano), che l’avevano prelevata dall’ospedale di Bergamo.

Dal loro atto di matrimonio si apprende che lei (quasi diciottenne), non sapeva né leggere né scrivere poiché lo sottoscrisse con una croce e, a fianco, il parroco don Ravasio annotò: “fatta dalla sposa illetterata”.

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Nel periodo compreso tra il 1863 e il 1871, i due coniugi misero al mondo 3 figli: Bernardo Lazzaro, Luigia Elisabetta e Angela tutti partoriti nella loro casa di via ‘per Mariano’ al numero 12 (ora via C. Battisti). Da questo periodo in poi, nei vari registri ufficiali dell’allora neonato stato italiano e della parrocchia, non si hanno più notizie.

Dati gli accadimenti politico-economici descritti in precedenza è probabile che Giovanni Battista sia emigrato in Brasile col suo nucleo famigliare nel periodo 1872-1874, e che lì, secondo quanto scrivono i suoi discendenti, nel 1883 abbia ottenuto l’assegnazione provvisoria del primo lotto di terra con tutto quello che poi ne seguì. Certamente era venuto a conoscenza delle incentivazioni economiche pubblicizzate dagli agenti delle compagnie brasiliane attive sul territorio e, stando ai fatti, decise di partire.

In Brasile nacquero altri 5 figli: Giacomo, Giovanni, Gioacchino, Giuseppe e Regina. Esiste una foto che Telmo mi ha lasciato, qui pubblicata, certamente scattata ai primi del ‘900 dove compaiono Giovanni Battista, la mamma Silvestra (ormai anziani) con 4 figli maschi.

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GB'58 (Dicembre 2015)