tn tregua

Nella triste occasione del centenario dell'entrata in guerra dell'Italia, il 24 Maggio del 1915, riportiamo un toccante racconto del concittadino Alessandro Pelicioli dal titolo: "Per mano". Il racconto ci è stato messo a disposizione dallo stesso autore, che ringraziamo vivamente.

Il racconto  è di pura fantasia ma trae spunto da un episodio realmente accaduto e ricordato come “La tregua di Natale”.


In prossimità del Natale 1914 su quello che fu il fronte occidentale fra Francia e Belgio, per loro la guerra era già iniziata il 28 Luglio del 1914, vi furono una serie di cessate il fuoco spontanei fra quelli che erano gli eserciti degli imperi centrali e quelli alleati.

Tali episodi vennero ovviamente condannati da parte degli stati maggiori, tant’è che oltre alle fucilazioni, si cercò in tutti i modi di evitare la ripetizione di situazioni analoghe. Il riferimento alla canzone “Stille Nacht”, è storicamente accertato da una lettera ritrovata nel lavoro di ricerca, così come la sintassi della lettera è volutamente anacronistica prendendo ad esempio lettere del periodo.


"Per mano"

Il suo momento, quello che avrebbe sancito un prima ed un dopo, una fine ed un inizio, stava per giungere: era questione di secondi, pochissimi secondi nei quali il solito fertile brusio che precedeva sempre la sua entrata, si sarebbe estinto. Quel momento era arrivato come un bel giorno, del quale già da anni intuiva i colori e le atmosfere, ma per il quale non era mai stato in grado di definire una distanza, il momento esatto, il preciso istante in cui il suo esser desiderio e frutto avrebbe incontrato il tempo del maturare.

Ad accompagnarlo in quel cammino di un’infinità finita, v’era sempre stata una lettera, delle parole, non sue pur essendo del suo stesso sangue, scritte tempo fa, ma capaci di condurlo ovunque avesse voluto – le parole non sono forse mappe, che ci conducono dove desideriamo? – e che pure in quel frangente gli stavano indosso e addosso, custodite e divise fra le tasche della sua giacca e dei suoi pensieri.
Guardò tutta la gente della platea senza vederla, per poi allacciare e slacciare repentinamente lo sguardo dagli occhi di una donna, ormai vecchia, l’unica che poteva avere importanza in una simile circostanza.
Stava bussando. Il suo momento stava bussando.
Prima di aprirgli, l’uomo volle però sfiorare la stoffa del suo abito per sentire ancora una volta e con una carezza, lo spessore della carta ed il peso di quella lettera che aveva con sé.

 

Ypres, 25 dicembre 1914

Carissima sposa,
dopo molto tempo che non ti scrivo, oggi finalmente ti do le mie notizie.

Questa è la vita della guerra ma ieri che era la vigilia del Natale ci è stato un miracolo e fatico molto a dire le emozioni che ho sentito nel vivere tutto quanto ti voglio raccontare. Fino a ieri erano giorni e notti zeppi di spari e raffiche, esplosioni di bombe: un inferno dove uomini, pezzi di uomini e sassi volano in aria come uccelli. Ma ieri ci è stato uno strano silenzio in trincea: già questo era un regalo mai aspettato.

Il regalo divenne ancora più bello però, verso s’era. L’altro fronte era pieno di alberi e prova ad indovinare cosa avvenne? I nemici riempirono gli alberi con grappoli di piccole luci: tutta la linea tedesca, a destra e a sinistra, a perdita d'occhio era illuminata. Pensavamo ch’erano diventati matti. Solo poi si poté capire che erano ornamenti natalizi, e che quelli erano alberi di Natale. Lo capimmo ancora di più quando cominciarono a cantare. Era un grande coro, bellissimo che mi ha fatto chiedere se vi sono strumenti più belli e perfetti della nostra voce, più belli dell’uomo che suona se stesso, che è insieme strumento, musicista, musica.

Quelle voci cantavano una canzone bellissima e mai sentita. Il mio compagno che conosceva quella lingua disse che aveva queste parole: “Notte silenziosa, notte sacra! Tutto dorme, veglia in disparte solo la santissima coppia”. E queste parole mi fecero quasi commuovere, perché mi era venuto spontaneo pensare a noi, io e te e a quel bambino che hai nella pancia.

In noi ci fu gioia: eravamo perduti nell’inferno ma con la luce della speranza e allora facemmo la cosa più giusta da fare. Facemmo anche noi le nostre canzoni e allora io senza accorgermi uscii dalla trincea cantando: fu un miracolo che non mi spararono e così tanti altri mi seguirono. Fu che ci scambiammo auguri e gli abbracci e doni, i doni di poveri soldati disperati. Fu che si fece un gran falò e si ballava in quella terra di nessuno fra filo spinato e buche di bombe.

Cantando avevamo fatto finire la guerra! Non bisogna più credere all’uomo che insulta o spara, ma all’uomo che canta, che suona se stesso: ricordatelo e ricordalo sempre a quel figlio che ci sta nascendo. Ricordatevi sempre di credere più nella musica, che nelle parole, più alla libertà che ti spinge a voler conoscere il nemico, piuttosto agli ordini che ti obbligano a sparargli.

Ci vide però il comandante e richiamò me e i compagni che mi avevano seguito, ci disse che adesso l’avremmo vista noi, ch’eravamo traditori e ci avrebbe fucilato… Noi stavamo zitti, ma dentro sorridevamo, così come ora sorrido a te: non potevano farlo, perché non avevamo fatto nulla di male…
Cara mia sposa non posso più scrivere altro e così mi resta di raccomandarti i nostri cari e quel figlio che sarà e invitarti a non lasciarti scaldare la testa da tutti i demoni che ci sono intorno. Pensami più che puoi, il tuo pensiero mi riporterà a casa.

Sasalendor

La musica già da diverse ore accompagnava le parole in una cadenza che inspiegabilmente mai si chiudeva: solo al suono dell’arpa, richiamo angelico al cielo terso, si intravide il meraviglioso finale e così gli archi si confusero con gli ottoni per poi ingravidarsi con le voci di un coro sempre più acuto e forte.

Tutto cambia e cresce in questi luoghi. Che aria pura!
Che giorno radioso! Che orizzonte immenso in lontananza!
Si, la natura sotto i nostri occhi mostra la sua magnificenza.
Alle nostre parole religiose, Libertà, ridiscendi dai cieli, e che il tuo regno ricominci!
Libertà, ridiscendi dai cieli, e che il tuo regno ricominci!

(Dal libretto dell'opera "Gugliemo Tell" di G. Rossini)

Il finale di quell’opera era il più sorprendente inno alla vita mai musicato e sebbene quelle battute avessero lo stesso disegno armonico e la banalità della ripetizione ossessiva, portavano in sé la festosa immagine d’uno sbattere d’ali, d’uno stormo, di un grandissimo stormo in volo fatto di musicisti e cantanti, che s’accingevano a posare il loro suono a terra. Terra dalla quale rimirare l’ultimo albatro ancora in volo – il direttore d’orchestra – affinché, con quel suo chiudere le braccia-ali, permettesse al silenzio di divenire esca d’applauso.

Giusto il tempo della consapevolezza, della consapevolezza che fosse proprio quello il momento che da tanto aveva aspettato e diede le spalle all’orchestra.
Volse l’inchino al pubblico: tese prima uno sguardo di dita in platea, nei confronti di quella donna ch’era sua madre, per poi infilare la mano all’interno della tasca verso la lettera di quel padre mai conosciuto, fucilato per aver creduto nella musica e nella libertà.

Per la prima volta si tennero per mano.


Alessandro Pelicioli (Maggio 2015)


Il racconto del concittadino Alessandro Pelicioli nel 2012 è stato premiato al Primo Concorso Nazionale Letterario "La Parola e la Musica". Visualizza QUI l'articolo apparso su L'Eco di Bergamo del 18 Settembere 2012.