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Per secoli la vita dei contadini nelle nostre campagne procedeva senza sostanziali mutamenti e le innovazioni erano così rare e dilatate nel tempo che il tutto sembrava immutabile.

Alla grande epopea del baco da seta e al conseguente lavoro nelle filande il compito di traghettare la provincia italiana e lombarda dalla dimensione contadina a quella pre-industriale e industriale, a cavallo fra il XIX e il XX secolo.


La coltura del baco e il lavoro in filanda, nonostante il loro relativamente breve periodo di diffusione, hanno lasciato un solco profondo nell’immaginario collettivo in quanto coincisero con una trasformazione epocale del modo di vivere, degli usi e dei costumi di tutta la gente di campagna. In campo economico e sociale si trattava di una vera e propria rivoluzione: le donne, relegate al ruolo di casalinghe e di madri, si affacciavano per la prima volta sulla scena sociale e politica aprendo la strada all'emancipazione che le ha viste protagoniste nella seconda metà del 1900.

Per comprendere appieno la portata di quello che la Rasica ha rappresentato per Osio e per i paesi limitrofi, dobbiamo partire dall'inizio.

La Rasica nei secoli

Ben quattro documenti, rintracciati presso l’Archivio Storico Bergamasco in data 1469, testimoniano l'esistenza, nel luogo dove ora sorge la Rasica, di un mulino a due ruote per la molitura dei cereali, leguminose e semi di lino, sfruttando le acque del canale Marzola, chiamato successivamente, e ancora oggi, Roggia Brembilla. Nel 1490 tra i proprietari del mulino c’è la potente e nobile famiglia dei De’ Zoppo. E’ probabile che già negli anni immediatamente successivi, in dipendenza del mulino, si impiantasse una segheria. “Resecare” era il verbo latino che indicava tale attività: di qui il facile e ancora contemporaneo “Rèsga”.

Alla fine del 1627, i fratelli Olmo di Osio Sotto, subentrati ai De’ Zoppo nella conduzione dei mulini e della segheria, dichiararono fallimento e persero il loro vasto patrimonio, compresa la Rasica con le sue 144 pertiche di terra [].

L’anno successivo la Rasica passò in proprietà a Gerolamo Mozzo, successivamente ai Medolago e ceduta infine, nel 1656 per 3.000 scudi, al conte Carlo Lazzarini.

I Lazzarini rimarranno proprietari della Rasica per duecento anni durante i quali, nel 1750, faranno edificare una piccola cappella, dedicata a S. Giovanni Battista, visitabile ancora oggi grazie al lavoro dei concittadini Michelangelo e Bruno Locatelli che, una decina d'anni orsono, l'hanno temporaneamente salvata da un inesorabile degrado.

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La cappella misura 13 cubiti e 3 once di lunghezza, 6 cubiti e 6 once di larghezza e 10 cubiti di altezza [].

Tutto il complesso della Rasica veniva raggiunta percorrendo quella che, in uno stradario del 1825, veniva denominata “Via delle seghe e molini”, in arrivo da Osio Sotto. La via Rasica, da Osio Sopra, venne tracciata successivamente, attorno al 1880..

 

Nasce la filanda

I Lazzarini cedettero tutti gli impianti e alcuni lotti di terreno per 10.200 Lire, nel 1872, a Gugliemo Schroeder, residente a Crezeld, Impero Germanico. Schroeder in parte ristrutturò e in parte demolì i vecchi edifici per costruirvi una filanda per la trattura e la torcitura della seta.

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Un altro progetto ambizioso, commissionato da Schroeder al perito Domenico Piotti, fu quello del ponte pedonale (la passerella) sul fiume Brembo, in prossimità della filanda. Il progetto della passerella venne approntato nel maggio del 1874, ma la costruzione sarebbe stata rimandata ai mesi più freddi dell’anno in concomitanza con il periodo di magra del fiume, per facilitare l’impianto del ponte nel letto del fiume.

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Come si può notare dalla foto n. 1, la passerella originale del 1874 prevedeva un appoggio nel letto del fiume, questo particolare è evidente anche nella foto n. 3 che si riferisce al rifacimento ad una sola arcata del 1920; rifacimento voluto dall'acciaieria Franco Gregorini, poi Dalmine SpA, per consentire il transito di bici e moto dei lavoratori residenti dall'altra parte del fiume.

Per la costruzione della passerella originale del 1874 era stato previsto l’impiego di Kg 8.100 di ferro, 2.900 di ghisa e 1.300 di legnami. Il nuovo collegamento avrebbe favorito il trasporto dei bozzoli dalla zona dell’isola (triangolo compreso fra il Brembo e l’Adda); ma, vista la portata ridotta, non poteva essere utilizzato per il trasporto dei grandi carichi di filato. Questi dovevano essere trasportati sulla carrabile lungo l’alzaia sinistra del Brembo fino al Ponte Vecchio di Brembate e, da lì, raggiungere le grandi tessiture dell’Adda. Due fra tutte: la tessitura Crespi e, poco più a valle, la Visconti di Modrone che si dedicheranno, in seguito, esclusivamente alla tessitura del cotone.

Nella nostra zona la coltura del seme-bachi era già sviluppata da tempo: nel 1810 il catasto napoleonico contava in Osio Sopra 3.117 gelsi. La massima diffusione si registrerà però nel 1888 quando in provincia di Bergamo si potevano contare 91 filande.

Nello stesso periodo alla filanda della Rasica erano impiegati, per 280 giornate lavorative all’anno, 235 addetti, destinati a crescere a 521 nel 1906 e fino a 674 nel 1927.

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Il ciclo di produzione della seta

L'allevamento dei bachi da seta

Nella nostra zona era effettuato in ambito familiare. Il seme-bachi, le uova del baco da seta, erano acquistate alla fine del mese di Aprile in base alla disponibilità di spazio e, soprattutto, di foglia di gelso. Poche famiglie potevano permettersi un'oncia di seme-bachi, circa 27 grammi corrispondenti a 30.000 uova; la maggior parte delle famiglie ne acquistava un quarto di oncia o, al più, mezza oncia. Per dare un'idea dell'impegno, un'oncia di seme-bachi richiedeva almeno 1.000 Kg di foglia di gelso e una superficie di 20 mq di tavole.

Dopo la schiusa delle uova, nei primi giorni di Maggio, il baco impiega circa quaranta giorni a compiere tutto il suo sviluppo attraverso quattro mute. Alla fine del ciclo inizia la salita al bosco e l'imbozzolamento che dura dai 2 ai 3 giorni. All'inizio di Giugno, terminata la filatura del bozzolo (fino a 1.200-2.000 metri di filo continuo), all'interno del bozzolo il baco inizia la sua trasformazione prima in crisalide e poi in farfalla, il tutto in un paio di settimane. Alla fine di questo periodo, la farfalla buca il bozzolo per uscire all'esterno, rovinando irrimediabilmente il filo di seta. Prima della scadenza dei quindici giorni, i contadini provvedevano alla raccolta dei bozzoli (galète) per portare i sacchi alla filanda. 

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I bozzoli, per permettere la lavorazione durante tutta l'estate e fino al tardo autunno, venivano messi nei bollitori per far morire la farfalla e impedirle di bucare il bozzolo. In anni più recenti la bollitura venne sostituita dalla stufatura a secco. Successivamente i bozzoli venivano stivati nel "gallettaio" locale apposito (sulla sinistra venendo dal paese) in grado di contenere 420 tavoloni per un totale di 50 tonnellate di gallette.

La filanda

Per la trattura della seta i bozzoli venivano portati nel reparto filanda dove c'erano fino a 240 bacinelle. In ogni postazione, oltre alla filandera, c'erano almeno due ragazze più giovani. Il loro compito era quello di immergere i bozzoli nelle bacinelle contenenti acqua  a 90°. La temperatura dell'acqua scioglieva la sericina, sostanza collosa che conferisce durezza al bozzolo; la bravura delle ragazze consisteva nel percuotere i bozzoli, aiutandosi con piccole scope di melga, alla ricerca del capo del filo di ogni singolo bozzolo e metterlo a disposizione della filendera.

La filandera univa dalle 5 alle 10  "bave", in funzione del titolo del filo da ottenere, e li faceva avvolgere sull'aspo per ottenere le matassine. Le filandere più abili potevano governare in parallelo fino a tre o quattro aspi contemporaneamente. Le matassine venivano poi legate, per evitare i grovigli, e passate ai bagni e, successivamente, al filatoio.

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Le filandere erano  sottoposte a prove sia sulla quantità che sulla qualità della seta prodotta.

Queste prove venivano effettuate dalla assistente del Direttore (la sistènta) molto spesso alla presenza del direttore stesso, in rappresentanza della proprietà. Le filandere più esperte acquisivano la mansione di maestra, molto meglio retribuita..

I bagni e la tintura

Nella sala bagni le matasse di seta grezza ottenute nella filanda subivano un processo detto di "sgommatura", con soluzioni saponose, per togliere la sericina eventualmente rimasta dopo la trattura della seta. Alla sgommatura seguiva la fase di "carica" a base di soluzioni oleose in grado di restituire peso, lucentezza ed elasticità al filato.

Per i filati più pregiati si procedeva alla fase di tintura: il tinto in filo, per gli esperti di tessuto, è qualitativamente molto superiore rispetto alla seta tinta successivamente alla tessitura. La tintura può durare anche parecchi giorni durante i quali le matasse devono rimanere nel bagno e devono essere rimestate più volte al giorno per assicurare una tintura il più possibile uniforme. 

Il filatoio

Fino alla fine del 1800 il filatoio, reparto addetto alla lavorazione del filo, rappresentava il collo di bottiglia dell'intero processo. Il filo di seta, composto da almeno cinque bave, doveva necessariamente essere "torto". Per la torcitura il filo doveva preventivamente essere passato sui rocchetti, operazione chiamata "incannaggio" e successivamente "torto" nei torcitoi. Con l'introduzione dei mulini da seta bolognesi, avvenuta in tutte le filande del nord a cavallo fra il 1800 e il 1900, entrambe le operazioni potevano essere effettuate contestualmente, e questo portò, se non al raddoppio, ad un notevolissimo incremento del filato prodotto.

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Per l'ottenimento dei filati più resistenti, dopo la prima torcitura ad "Z", tre fili "torti" venivano uniti con una successiva torcitura a "S". Questo processo si rendeva necessario per il filo d'organza che, usato come filo di ordito sui telai di tessitura, doveva essere particolarmente resistente per sopportare i diversi intrecci del filo di trama, al quale era richiesta una resistenza inferiore.

Lo spessore e la resistenza del filo erano, e sono ancora oggi, misurati in "denari" unità di misura che rappresenta in grammi il peso di circa 10.000 metri di filato. Le calze di seta, per fare un esempio, andavano dai 15 ai 30 denari; per i paracaute, in dotazione all'aeronautica dei primi del '900, era richiesta una consistenza pari o superiore ai 100 denari.

L'ultima operazione sul filato era la "brovatura", effettuata nella "sala brova" appositamente attrezzata. La brovatura consisteva nell'irrorare il filato con vapore acqueo alla temperatura di 100° per rendere permanente la torcitura ed evitarne l'arricciamento durante la tessitura; difetto che avrebbe compromesso gravemente la regolarità del tessuto.

 

La vita in filanda

"A la matìn bonóra si sente söpelàr" recita una canzone delle filandere. Alla mattina presto, le finaldere che abitavano nei paesi vicino alla filanda si ritrovavano nei luoghi convenuti e si recavano al lavoro cantando e facendo sentire il söpelàr degli zoccoli sul selciato. Gli zoccoli (söpèi), oltre che essere una calzatura fra le più economiche, erano anche i più salutari perchè i pavimenti della filanda era costantemente bagnati a causa del vapore e dell'umidità prodotta dalle bacinelle; il legno degli zoccoli assicurava l'isolamento del piede.

Il lavoro cominciava presto, alle 7 della mattina, e proseguiva senza pause fino a mezzogiorno. Il direttore e l'assistente (la sistènta) giravano i reparti in lungo e in largo per verificare che il lavoro si svolgesse con la dovuta alacrità. Anche il parlare era mal tollerato e le filandere smettevano di parlare al loro passaggio. Anche il canto non era gradito: molte canzoni popolari, cambiato il testo, si rifanno spesso a inni politici in voga all'inizio del secolo.

Da mezzogiorno all'una era concessa una pausa e le ragazze mangiavano quello che si erano portate da casa o quello che i familiari le portavano dal paese. Non ci è dato di sapere se questo succedesse anche a Osio ma, in molte filande, i familiari portavano i neonati alle giovani madri perchè li potessero allattare in un locale appositamente riservato.

Il lavoro proseguiva poi per tutto il pomeriggio, fino alle 18 o alle 19, in funzione del lavoro che c'era da fare. Abbiamo già parlato delle severe prove alle quali le filandere erano sottoposte, con il rischio di multe o licenziamenti.

Alla sera le ragazze che abitavano vicino alla filanda tornavano a casa; quelle che abitavano troppo lontano, le foreste, rimanevano alla filanda nel locale foresteria dove potevano mangiare un piatto di minestra, o poco più, prima di ritirarsi nelle camere. Qualche volta passava il curato per il rosario. Le foreste facevano ritorno a casa il venerdì sera o il sabato pomeriggio; passavano la domenica coi familiari e il lunedì ripartivano per la filanda stipate sui carretti organizzati in ogni paese.

Le filande impiegavano perlopiù manodopera femminile; gli uomini erano addetti ai lavori più pesanti come la bollitura dei bozzoli, carico e scarico dei carri e la manutenzione degli impianti.

Diversi erano i problemi, evidenziati nel tempo, relativi ai lavori in filanda: cerchiamo di riassumere i principali.

La giovanissima età delle lavoratrici

Ben due leggi vennero emanate a cavallo fra il 1800 e il 1900 relative al lavoro minorile. Nel 1886 venne emanata la legge Berti n. 3657 sostituita, nel 1902 dalla legge Carcano. La legge Berti fissava a nove anni il minimo per essere ammessi al lavoro, indicava in dodici anni l'età minima per il lavoro notturno.

La successiva legge Carcano unificava in una disciplina igienico-sanitaria la tutela delle donne e dei fanciulli. Fissava a 12 anni il limite di età per l'ammissione al lavoro dei fanciulli.

Lo Stato con una Commissione avrebbe decretato quali lavori particolarmente pericolosi e insalubri sarebbero stati vietati ai minori di 15 anni, ma questo non avvenne. Per quanto riguarda le donne si fissava un massimo di 12 ore di lavoro al giorno. Venne introdotto per la prima volta il congedo di maternità, che concedeva alle donne un riposo obbligatorio di quattro settimane dopo il parto, ma non prevedeva alcuna sospensione precedente al parto. Alle puerpere veniva anche permesso l'allattamento o in un locale interno allo stabilimento o con l'uscita dal posto di lavoro, nei modi e tempi definiti da un regolamento interno.

Gli ambienti malsani

A proposito di ambienti malsani, numerosissime sono state le segnalazioni fatte pervenire ai prefetti a denuncia delle condizioni di lavoro delle filandere. La lettera che segue è stata inviata da un parroco al Prefetto di Meldola, cittadina dell’Emilia Romagna, nel settembre 1893:

"... Le donne della zona si occupano esclusivamente nell'industria della trattura e filatura della seta. Da tale lavoro le famiglie operaie nostre traggono sufficiente vantaggio economico, ma purtroppo le condizioni in cui si compie, influisce ad alterare lo stato di salute delle nostre classi povere. L'eccessivo calore, l'atmosfera sempre umida, il dovere esercitare le mani sempre nell'acqua quasi bollente, l'immobilità per 12 ore, sono tutte cause, onde abbiasi a danneggiare la salute di quelle operaie e più ancora quella dei loro nati giacché molte di esse seguitano a lavorare fino a che giungono agli ultimi giorni di gestazione”.

I maltrattamenti

I maltrattamenti e le percosse erano quasi all'ordine del giorno, come risulta da innumerevoli testimonianze orali delle lavoratrici stesse. Le ragazze, soprattutto quelle più giovani, venivano percosse dalle assistenti con una riga di legno quando venivano sorprese a chiacchierare con le compagne.

Riportiamo il testo di una canzone "Và in filanda laùra bén" diffusa in tutta l'alta Italia:

Và in filanda laùra bén
che la sistènta la mi vuòr bén
la mi vuòr bén fino a un cèrto sègn

e poi dòpo la ciapa 'l lègn

La ciapa 'l lègn me la dà süi spal

ói ài mè che la mi fà mal

Le lusinghe

Oltre alle percosse, non erano rari i casi in cui i direttori delle filande, approfittando della loro posizione di potere, insidiassero l’onore delle ragazze più carine. Con il pretesto di mantenere buoni rapporti con le ragazze, i direttori si intrattenevano con loro anche durante le pause di lavoro o alla sera nella foresteria.

Allettate da false promesse, nella speranza di uscire dalla loro condizione di indigenza, le ragazze erano indotte a soddisfare gli appetiti sessuali dei loro superiori. Molte altre ragazze premevano alle porte delle filande alla ricerca di un posto di lavoro, il licenziamento avrebbe rappresentato per le famiglie delle licenziate un danno economico difficilmente sopportabile.

E' rimasto nella memoria popolare il simbolo della "vera inargentata" che i direttori davano in dono alla prescelta insieme alla promessa, mai mantenuta, di matrimonio. L’ignoranza e la vergogna delle famiglie facevano il resto, lasciando spesso impuniti gli autori di quell'odioso reato commesso dai direttori ai danni di ragazze giovanissime sfruttando la loro posizione di potere.

Anche in questo caso ci vengono a supporto i versi di una canzone popolare nella quale Laurina, rimasta incinta ad opera del suo direttore, rivolge questo invito alle sue compagne di lavoro:

Fiòle bèle fiòle care
ai diretùr no sté a badàghe
i è balòss de prima riga

di tradìr la gioventù

 

Gli scioperi a cavallo fra il 1800 e il 1900

Non abbiamo testimonianze dirette su quanto abbiano coinvolto la nostra filanda gli scioperi che hanno sconvolto le filande di tutto il Nord a cavallo fra il XIX e il XX secolo.

A titolo di puro esempio riportiamo alcuni spezzoni di articoli apparsi sul settimanale "Il lavoratore Bresciano" nel Settembre del 1893 a proposito degli scioperi nel filatoio Fermo Coduri di Ponte Zanano in Valtrompia.

"Le filatrici costrette a lavorare dalle 14 alle 16 ore al giorno, con una ricompensa massima di £. 1,10 (comprensiva del diritto al nutrimento, che viene commisurato in ragione di 30 centesimi di lire al giorno). Trenta centesimi al giorno per sostentare delle infelici che si logorano i nervi e lo stomaco in un lavoro bestiale di 14 o 15 ore al giorno, mentre certi signori, sbadiglianti d'inerzia, su per i caffè o nelle loro sale dorate e certe nevrotiche signore che non trovano mai vivande abbastanza squisite per la delicatezza del loro palato spendono fino a 10 lire e più per una colazione. Al vederle queste poverine, in gran parte pallide, anemiche, sintetizzanti tutto ciò che vi è di più infelice, di più straziante nella vita, destano sensi di dolore e di raccapriccio anche nei cuori più induriti e fanno imprecare al barbaro sistema di sfruttamento che le opprime e che non cesserà neanche con la diminuzione di due ore di lavoro ch'esse insistentemente chiedono" ...

... "Finalmente la corda troppo tesa si è spezzata; la classe lavoratrice, rappresentata questa volta da ben trecento operaie filatrici ha dato un'altra prova che è stanca di sopportare il giogo che la borghesia le ha posto al collo. Nelle filature seriche di Iseo si è capaci dell'inumanità di costringere le operaie ad un lavoro che è risaputo antiigienico per eccellenza, per un periodo di nientemeno che quattordici ore al giorno. Le filatrici scioperanti hanno chiesto la riduzione del loro lavoro a dodici ore"

E, a conclusione della vicenda, parecchi mesi più tardi:

"Le filatrici scioperanti accompagnate dai Rappresentanti della Camera del Lavoro sono rientrate ai propri stabilimenti cessando immediatamente lo sciopero, per effetto dell'accomodamento dei proprietari delle filande che finalmente accordarono le dodici ore giornaliere".

 

"La settimana di Chiara Brenna"

Nel 1979 il regista Giorgio Pelloni, per la RAI, scelse la Rasica per girare alcune scene del film "La settimana di Chiara Brenna". Il film vedeva tra i protagonisti Stefania Casini, Flavio Bonacci, Walter Valdi, le concittadine Daniella e Ebe Dentella ed un ceninaio di comparse di Osio Sopra. La colonna sonora è stata curata dalla romana Giovanna Marini, una vera istituzione nel campo della musica di tradizione popolare..

Nel lungometraggio si racconta la vicenda di alcune operaie di una filanda lombarda che, stanche delle disumanefoto condizioni di lavoro, nel 1890 organizzano uno sciopero.

Gli esterni del film sono girati, per la maggior parte alla filanda della Rasica. Le scene di trattura della seta sono invece registrate a Pontida, Treviolo e, soprattutto, a Sotto il Monte dove erano stati riattivati alcuni impianti originali. 

Come dicevamo, nel film appaiono molte comparse di Osio Sopra al lavoro in filanda e nei panni di scioperanti accampati nel terreno oltre la roggia. Alcuni hanno avuto la possibilità di assistere, ovviamente non ripresi, alla registrazione della scena girata nel campo della cascina Goltara dove Chiara Brenna (Stefania Casini) prova e riprova il discorso che avrebbe dovuto pronunciare l'indomani mattina ad una grande manifestazione durante uno sciopero della filandere. L'indomani il discorso Chiara non lo farà perché verrà arrestata la notte stessa dalle forze dell'ordine.

A seguito dei contatti con "RaiTeche" pubblichiamo brevi riprese in cui appaiono le comparse di Osio Sopra. Alcune sequenze sono volutamente rallentate per permetterci di riconoscere i nostri concittadini e le nostre concittadine a distanza di più di trent'anni.

 

Il 1900 e gli Orsi Mangelli

Wilhelm Schroeder, vecchio proprietario, mantenne il controllo della filanda fino allo scoppio della prima guerra mondiale nel 1914. Preferì a quel punto abbandonare l’Italia e cedere la proprietà della Rasica al conte Paolo Orsi Mangelli, industriale del settore, già proprietario di opifici serici a Forlì e a Jesi.

Le foto che seguono sono tratte dal catalogo Orsi Mangelli degli anni '30. Gli "album", così erano chiamati, includevano fotografie degli edifici della filanda e gli impianti interni di lavorazione; venivano mostrati ai fornitori e ai clienti a dimostrazione della solidità economica dell'impresa.

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Intorno agli anni '50 il settore manifatturiero conoscerà una prima crisi e, mentre molte aziende saranno costrette a chiudere, alla Rasica venne invece introdotta la lavorazione di fibre sintetiche, per garantire l’occupazione. Nel 1952 la filanda diviene formalmente proprietà della SAOM, Società Anonima Orsi Mangelli, con sede in Milano, mentre le altre proprietà Mangelli di Forlì erano già passate sotto il controllo della OMSA, Orsi Mangelli Società Anonima.

La vecchia costruzione occupata dalla filanda venne quasi del tutto abbandonata; sull’area libera all'interno della proprietà vennero costruiti nuovi capannoni nei quali ancora oggi vengono prodotte fibre sintetiche e materiali vetrosi.

 

La nuova crisi tessile degli anni '70

Verso la metà degli anni Settanta il settore tessile conosce la crisi più profonda del 1900, crisi che colpisce tutte le più grosse aziende della zona fra cui la MVB, Manifattura Valle Brembana di Zogno, il gruppo Legler di Ponte S. Pietro, la tessitura “Crespi” a Crespi d’Adda e ancora più la “Filati Lastex” di Redona.

Nel 1977, dopo un biennio disastroso durante il quale la filanda è controllata da un gruppo che fa capo all’Avv. Gotti Pulcinari, la Rasica viene ceduta, con meno della metà dei dipendenti rispetto al 1975, ad una cordata di industriali vercellesi, con il nome di Jet-Seta Industrie, gruppo già proprietario di uno stabilimento simile a Villalta di Vercelli.

Negli anni 2000, a nome di Interplast, con sede principale a Osio Sotto, la Rasica dava lavoro ad un centinaio di dipendenti, impiegati nella produzione di fibre sintetiche. Oggi il numero di dipendenti si è ulteriormente ridotto ad una cinquantina di unità ma, ancora una volta, si profilano all’orizzonte nubi preoccupanti.

 

La Rasica oggi

Ad esclusione dei nuovi reparti costruiti, come dicevamo, a Nord-Est della filanda negli anni '50, il resto della fabbrica risulta in stato di completo abbandono, sia la parte a Nord di Via Rasica sia la parte a Sud, da qualche decennio annessa al territorio di Osio Sopra.

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Nella speranza e nell'attesa che l'intero complesso possa trovare una destinazione all'altezza del suo grande passato, vogliamo chiudere questo viaggio nell'epopea della nostra filanda con una bella immagine di filandere, questa volta adulte, fiere e combattive.

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Fonti:

“La fornace - Uomini e famiglie nella storia di Osio Sotto”
Marino Paganini
Comune di Osio Sotto, 1985
 
“Una rassica ed un torchio da olio: progenitori della filanda”
Piero Cattaneo
apparso sul periodico “Osio Sopra - parliamone”, Anno IV - N° 1 - Marzo 1995
 
Filande, filandine e filandere
Gianpietro Bacis
La Colombera, 2007
 
La settimana di Chiara Brenna
Film Rai 1982 di Giorgio Pelloni
Un ringraziamento a Daniella e Ebe Dentella per il materiale e le informazioni fornite.
 
Non possiamo non ringraziare Emilio Gualandris che, assunto giovanissimo alla Rasica, ha scalato le diverse mansioni fino a ricoprire la carica di Direttore. A lui dobbiamo le dettagliate e puntuali indicazioni sulla dislocazione dei reparti all'interno della filanda.

BGp (Dicembre 2015)

 

 

Categoria: Briciole di storia
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