modididireabc1I modi di dire sono la bellezza e il colore di ogni dialetto. Ve ne sono una infinità anche in bergamasco. Quelli che seguono non sono, ahimè, che una piccola parte di quelli che vengono utilizzati a Osio. Alcuni sono diffusi in tutta la provincia, altri in un ambito ristretto al paese, altri sono utilizzati solo all'interno di un parentado, riferiti magari ad episodi noti a quella ristrettissima cerchia di persone, ma non per questo meno interessanti.


A

A caàl d'ün àsen. Non essere messi per niente bene. Quelli che stanno meglio "i è a caàl".

A èdel a 'ndà al par che l' vègne. Detto di qualcuno che non si decide a fare qualcosa. Andare ma senza alcuna fretta e nessuna convinzione.

A fos'sura, a fus'sura, a fursura. Letteralmente: fuori di sopra e significa in sopraggiunta, oltretutto, per di più. La forma estesa è fò d' sura, con diversi “aggiustamenti” fonetici.

A gh' n'è che mör, ma che crapa! Ce ne sono tanti che muoiono, ma che crepano! Il detto gioca sul doppio significato di crapa inteso come “muoiono” o crapa come “testa” e si dice per prendere in giro qualcuno che ha la testa grossa.

A gh' n'é che mör, ma che nàss! Anche in questo caso il modo di dire sfrutta il significato di nass “nascono” e nas “naso”. Ci si riferisce a qualcuno che ha il naso grosso.

A gh'è gna Sancc gna Madóne. E' inutile pregare, non c'è proprio più niente da fare.

A l' capés öna tògna. Non capisce un accidenti. Si ignora perché sia stata presa proprio "Antonia" per questo detto.

A l' ga düra gna de Nedàl a Sant Istéen. Si dice quando un ragazzo rovina e sgualcisce velocemente abiti e scarpe oppure quando non conserva con cura le cose che gli vengono affidate. Letteralmente: gli dura pochissimo, neanche da Natale a Santo Stefano. La I prostetica di I-Stéen facilita la lettura della frase.

A l' gh'à gna öcc gna bóca. Non avere né occhi né bocca. Riferito a persona inoffensiva, in buona fede. Molto spesso questa allocuzione è usata in senso ironico e si riferisce a persona che sa benissimo il fatto suo e quello degli altri.

A l' gh'à 'l cül 'n del bötér. Letteralmente: ha il culo nel burro. Si dice di persona che è sempre vissuta negli agi, senza dover faticare. Negli anni sessanta si utilizzava anche la forma invertita.

A l' gh'à 'l piàns in scarsèla. Detto di qualcuno che ha la lacrima facile.

A l' gh'à ligàt ol bìgol. Essere morbosamente attaccati a un'altra persona. Bìgol, in questo caso si riferisce al cordone ombelicale.

A l' gh'à 'n pó del sacramènt. Letteralmente: ha un po' del sacramento Si dice di un tipo curioso e originale. Bizzarro.

A l' gula i àsegn. Gh'è zelàt ün àsen in piàssa. Volano gli asini. E' gelato un asino in piazza. Si usa per dare del credulone a qualcuno.

A l' m'è 'ndàcc zó del lìber. Si dice quando non si stima più qualcuno, toglierlo dal libro inteso come libro paga o libro dei buoni.

A l' parla perchè l' gh'à la bóca. Si dice di uno che non sa quel che dice: parla semplicemente perchè è in grado di farlo.

A l' rierà Cèco. Espressione utilizzata ad indicare che prima o poi arriverà la resa dei conti. Cèco, si tratta sicuramente di Francesco Giuseppe d'Austria, chiamato dalla gente Cecco Beppe.

A l' sènt gna de mé gna de té, gna de menà a Careàs. Detto di persona senza nessuna personalità. No sa di niente, né di me, né di te, ma neanche da portare a Caravaggio, forse per farlo benedire.

A l' tègn gnà la pissa. Non riesce a mantenere un segreto, tant'è che non ha nessun ritegno.

A l' và che l' vula. A l' và che l' gula. Va che vola. Spesso è detto anche in modo ironico di qualcosa che si muove troppo lentamente o non funziona a dovere.

A l' val öna cica d' bàgol. Si dice di una persona, o di qualcosa, senza valore. La cica d' bagol è la bacca del bagolaro, volgarmente romiglia o spaccasassi. Non ha nessun valore e nessuna applicazione. Molti invece intendono il mozzicone finale del sigra che veniva masticato; ugualmente di nessun valore

A l' val tat come 'l du de cópe. Non ha nessun valore, come il due di coppe. I più maligni aggiungono: quando la briscola è a bastoni.

A l' vé piö a la dé. Si dice quando qualcuno si fa attendere a lungo o non viene a capo di qualcosa. Letteralmente non venire alla luce del giorno.

À là té che ègne a' mé. Letteralmente: vai là tu che vengo anch'io. Nel gergo popolare sta ad indicare qualcosa che tarda a verificarsi o che qualcuno ritarda a fare quello che deve.

A l'òrba fósca. All'impazzata, correre senza rendersi conto del pericolo cui si va incontro.

A m' s'è dét che m' néga. Stiamo annegando, siamo in grossi guai.

A ónse. A once, antica unità di misura: passettino per passettino, pochissimo alla volta. Ta ma fét mör a ónse, mi fai morire poco alla volta, giorno dopo giorno.

A rebuldù, a riultù. Tutto a rovescio, a monte. L'è 'ndàcc a rebuldù: è andato a gambe all'aria.

A' té bambo, a' té stüpet. Guarda te bamboccio! stupidotto!

A treèrs. Di traverso, di sbieco. A treersacàp, non stare sulla strada ma attraversare i campi per fare più in fretta. Si dice anche in senso figurato ad indicare il procedere degli ubriachi.

Ada che l' passa 'l Vèscov. Guarda che passa il Vescovo. Minacciare un bambino di dargliele. Il detto fa riferimento allo schiaffetto del Vescovo durante la Cresima.

Adèss e d' sedèss. Ora e tra un po'. De sedèss è l'avverbio che indica uno spazio di tempo molto breve.

Agn de gàtole. Brutte annate, anni di larve, di miséria a brache, a manate. Gli anni in cui le larve hanno il sopravvento, frutta e verdura scarseggiano e, di conseguenza, la miseria trionfa.

Ai tép del Carlo Códega. Ai tép del Giürài. Modi di dire per indicare i tempi passati, al limite della memoria collettiva. La cotica, cotenna di maiale, era utilizzata come brillantina ai tempi appunto di un personaggio chiamato, per questo 'l Códega. Il Conte Giulaj, invece, era l’ufficiale austriaco, di stanza a Milano, destituito da Francesco Giuseppe (Cecco Beppe) dopo la sconfitta di Magenta nel maggio del 1859, ai tempi in cui le truppe milanesi cantavano “la bella Gigogìn”, per scherno nei confronti degli Austriaci.

Andà a fò, 'ndà a fò. Andare nei campi a lavorare

Ardà 'n ària. Guardare in alto. Avere ambizioni e aspettative più alte rispetto alle proprie reali possibilità.


B

Baiàga dré. Abbaiare ma anche parlar male di nascosto. Nel caso dei cani si sente molto più spesso bórega dré.

Barba e chièi. Barba e caèi. Servizio completo, a puntino: barba e capelli.

Bàsghet? Stai dando fuori di testa?

Bat la sèla per fàga capì a l’àsen. Quando si dice qualcosa a qualcuno per far capire ad un terzo presente. Gettare la pulce nell'orecchio di qualcuno, parlando con altri.

Beàt té. Esclamazione: beato te.

Bèla come 'l cül de la padèla. E' bella come il fondo della pentola. Ti lascio dire!

Bèl bessòt, póer bessòt. Bel pecorone, povero pecorone. Si dice solitamente di persona debole e indifesa che per questo fa tenerezza.

Bófa mia! Non rispondere, non replicare. Anche nó stà a bófa.

Bórega adòss. Bórega dré. Saltare, in senso figurato, addosso a qualcuno, abbaiare contro (dietro) qualcuno.


C

Caàgna róta. Paniere rotto, assolutamente inservibile. Si dice anche di persona buona a nulla.

Calma barbér che l'àqua la scòta. Calma barbiere che l'acqua ancora scotta. Riflettiamo un attimo prima di agire o di prendere una decisione che potrebbe rivelarsi azzardata.

Can de l'öa. Imprecazione Si igora il significato e l'origine di questa espressione.

Canèta de éder. Spina dorsale di vetro. Si dice di qualcuno che non si piega a lavorare per non rompersi la spina dorsale, 'l filù.

Capì tóne per bilóne. Capire una cosa per un'altra.

Che fì che fói. Di tanto in tanto. Ironicamente: fin troppo spesso.

Che sgiunfàda che ta ma n'ét dàcc. Che stancata mi hai dato!

Chèl del formài. Quello del formaggio: che non si fa abbindolare, che risponde a tono, che può fregarti.

Chèsta t' la lasse mia borlà 'n tèra. Questa non la lascio cadere, mi offendo, mi farò valere.

Chèsta la lòse mìa. Letteralmente: “questa non la alloggio” cioè non do ospitalità a quello che mi stai dicendo: questa non la bevo.

Có de amaròt. L'amaròt è il verdone, un uccello che fa il nido nei cespugli, a poca altezza dal terreno. Si dice benevolmente di chi ha poco sale in zucca, forse proprio per il fatto di costruire nidi indifesi.

Còcc come öna boröla. Cotto come una caldarrosta. Cotto a puntino, a dovere. Innamorato, Oramai in balia degli eventi.

Crapa de Gòti. Testa di legno. Persona di scarso comprendonio. Giuseppe Gotti era un burattinaio dell'ottocento.

Crus e medàie. Croci e medaglie, come dire oneri e onori.

Cül bülsù. Col culo in aria, bocconi.


Per visualizzare le altre parti dei "Modi di dire":

PARTE 1 (abc) PARTE 2 (def) - PARTE 3 (ghi) - PARTE 4 (lmn) - PARTE 5 (opqrs) - PARTE 6 (tuvz)

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Tratto da "Osio Sopra, il patrimonio immateriale di una comunità" di Gianpietro Bacis pubblicato per la prima volta nel 2013

(Settembre 2015)