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modididiredefI modi di dire sono la bellezza e il colore di ogni dialetto. Ve ne sono una infinità anche in bergamasco. Quelli che seguono non sono, ahimè, che una piccola parte di quelli che vengono utilizzati a Osio. Alcuni sono diffusi in tutta la provincia, altri in un ambito ristretto al paese, altri sono utilizzati solo all'interno di un parentado, riferiti magari ad episodi noti a quella ristrettissima cerchia di persone, ma non per questo meno interessanti.


D

Dà fò come 'l Lòi. Perdere la pazienza e dare in escandescenze. Letteralmente è il tracimare dei fiumi, nel nostro caso l'Oglio.Il modo di dire si riferisce al crollo della diga del Gleno, avvenuto il 1º dicembre del 1923. Alle ore 7:15 sei milioni di metri cubi d'acqua, fango e detriti precipitarono dal bacino artificiale a circa 1.500 metri di quota, dirigendosi verso il lago d'Iseo. L'enorme massa d'acqua del torrente Dezzo, percorse tutta la Valle, attraverso l'orrido della Via Mala, arrivò all'Oglio facendolo esondare su tutta la vallata e gettandosi nel Lago d'Iseo, quarantacinque minuti dopo il crollo della diga.Fonti oculari testimoniano di mucche e altri capi di bestiame che galleggiavano sul lago, in parte vivi e in parte morti.

Daga del passalà. Non dare molta importanza a qualcosa.

Daga dét tàia. Portare via a man bassa o mangiare una grande quantità di qualcosa, tipo una torta o qualcosa di goloso.

Daga 'l biscutì a l'àsen. Dare il biscottino all'asino. Aiutare qualcuno che non apprezzerà il nostro gesto, così come l'asino non apprezza il biscotto preferendo erba o fieno.

Daga öna scòpola. Dare una bella lezione a qualcuno.

Daghen vöna cólda e öna frègia. Dargliene una calda e una fredda. Per ottenere il massimo da una persona, non la si può solo attaccare, ogni tanto bisogna dargli ragione, daghen vöna cólda.

Dài de sàe. Dài de brào. Dài da savio. Dài da bravo, sii sensato, ragionevole.

Dàm a  trà. Dammi retta.

Dàm öna pòrca. Non si tratta di un modo di dire comunemente diffuso. Era la frase tipica del Pio, ai tempi spazzino del comune (ancora non erano “operatori ecologici”), quando doveva chiedere una sigaretta a qualcuno. Da allora a Osio pòrca è diventato sinonimo di sigaretta.

Dàghen öna söpa. Dàg öna 'nturunada. Dàghen öna fèta. Annoiare a morte qualcuno. Letteralmente dargliene una zuppa, una intoronata, una fetta.

Dàghen vöna cólda e öna frègia. Letteralmente dargliene una calda e una fredda. Non si può sempre trattare male una persona, ogni tanto bisogna darle ragione.

De menimà, de manimà. Tutto a un tratto, improvvisamente. Mano a mano. L'origine è probabilmente de man in mà.

De rif o de raf. Come in italiano, di riffa o di raffa, in qualche maniera.

Dèrves bóca! Letteralmente “apriti bocca”. In senso lato significa: chiedi pure quello che vuoi e il tuo desiderio sarà esaudito. Si dice ironicamente anche quando qualcuno esagera nelle richieste.

Dèrves tèra! E' l'esclamazione di fronte ad un fatto assolutamente inammissibile, “apriti terra” e inghiotti tutto.

Dóma i montagne i stà al sò pòst. Solo le montagne rimangono al loro posto. Con i giusti argomenti tutti possono essere indotti a cambiare idea.

Du de Óst. Due di Agosto. Si riferisce all'organo maschile e il due di Agosto, secondo la tradizione popolare è la festa degli uomini.

Durmì de la quarta. Dormire della quarta, dormire alla grande. Riferito all'allevamento del baco da seta. Durante la quarta muta, in gergo “dormita”, il baco da seta dorme profondamente rimanendo immobile per più di due giornate. Le prime tre dormite durano invece una sola giornata. Nelle zone del comasco si dice “durmì de la gròssa” e, anche in questo caso, la grossa era l'ultima dormita.

 

E

Ènd (vènd) la nìstola. Di norma si pronuncerebbe ènt o vènt. In questo caso, seguito da consonante, si pronuncia èn' o vèn'.Vendere la nistola (fettuccia di cotone, di lino o di canapa). Figurativamente si dice quando le donne, ma anche gli uomini, si attardano a chiacchierare.

Èntra sö. Avvedersi, rendersi conto, capire.

Ergógna marsa! Vergogna marcia. Vergognati. E' un'indecenza.

Èss fra l'incösen e 'l martèl. Più anticamente si diceva inchésem. Esattamente come in italiano, essere ad un punto cruciale, obbligato da una parte e dall'altra. Abbiamo riportato questo modo di dire per il termine “incudine” e per le trasformazioni che il termine ha subito dall'italiano al dialetto.

 

F

Fà balà l’öcc. Letteralmente far ballare l'occhio. Significa stare molto accorti e osservare bene tutti i particolari. Si dice anche quando un ragazzo osserva con insistenza le ragazze.

Fà careana. Far fatica all'inizio a fare qualcosa. stentare ad ingranare e a prenderci l'abitudine.

Fà dét doana. Far dentro dogana: rubare alla grande.

Fà cór i àsegn. Far correre gli asini. Imbrogliare qualcuno, prenderlo in giro. Si riferisce anche agli scherzi del primo Aprile.

Fà di acc. Fà di sgiupinade. Fà i operine. Fare degli atti. Fare gioppinate. Fare le operine. In senso lato tenere un comportamento non consono, fare scherzi, stupidaggini o balordaggini.

Fà giorgìna. Fà giungìna. Fà 'l dundìna. Tirarla per le lunghe, menare il can per l'aia.

Fà 'l de piö. Fare lo sbruffone attribuendosi meriti che non si hanno.

Fà 'l lifròch. Fà 'l lifrucù. Fare il fannullone, poltrire.

Fà 'l sömiòt. Fare lo scimiotto, fare il cascamorto con una ragazza. Provarci.

Fà la éta del Michelàss: mangià, bìv e 'ndà a spass. Fare la vita del Michelaccio, mangiare e bere e andare a spasso. Fare la bella vita, senza preoccupazioni.

Fà la fügüra de camelòt. Fare una figuraccia. fare la figura del cioccolataio, del baccalà.

Fà la pötàna. Fà la pelanda. Fare la puttana. La pelanda era invece l'operazione di togliere le foglie del gelso dal ramo prima di darle in pasto ai caalér, i bachi da seta. Questa mansione stagionale veniva effettuato da ragazze che si recavano, fra Maggio e Giugno, nelle zone in cui era molto diffusa la bachicoltura. Non è dato di sapere se in qualche modo arrotondassero la paghe con altre prestazioni, così come starebbe ad indicare l'accezione che questo termine ha acquisito negli anni.

Fà 'l öltem isguersègn. Lo sguersègn è lo sberleffo fatto con la mimica facciale. In senso traslato significa morire.

Fà 'l öv fò de la caàgna. Fare l'uovo fuori dal cesto. Si dice di qualcuno che fa qualcosa di insolito, qualcosa che non ci si aspettava.

Fà marènda de fò del basgiòt. Avere una avventura extra-coniugale. Il basgiòt è la scodella per la colazione o per la merenda.

Fà mìa 'l teàter. Fà mìa 'l cìnema. Detto di qualcuno che teatralizza e si abbandona ad atteggiamenti esagerati.

Fà mócio! Fà sito! Sito! Stai zitto! Silenzio!

Fà 'ndà la lapa. Chiacchierare in continuazione. Muovere la lingua.

Fà orègia de sòi. Fà orègia de mercànt. Far finta di non aver sentito. il sòi è una tinozza, un grosso mastello in legno o in metallo usato per l'ammollo dei panni e per il bagno personale. L'orègia è il manico di metallo che, ovviamente, non può udire. Il mercante tenta di non capire le lamentele dei suoi clienti.

Fà saltà fò i altarì. Scoprire i segreti di qualcuno, gli scheletri nell'armadio.

Fà San Martì. Traslocare, di solito si faceva l'11 Novembre, il periodo di minore impegno per i contadini nei campi.

Fà scüsà. Adattare qualcosa, farselo andar bene comunque.

Fà stà zó 'l fiàt. Ha due significati: il primo è stare in pensiero per qualcuno, il secondo è stufare in continuazione per ottenere qualcosa.

Fà stremì. Spaventare.

Fà s-ciopà 'l tobèrcol. Far scoppiare una malattia (tubercolosi?) a qualcuno. Detto di qualcuno che non smette di rompere le scatole o si comporta in maniera pedante.

Fà tinte. Nel linguaggio dei bambini significa “mettiti seduto” o “vieni a sederti qui".

Fàe bé, fàe mèi! Avrei fatto bene, avrei fatto meglio. Esprime il rimpianto per non aver fatto la scelta più opportuna al momento giusto. Si dice ad una persona perché si renda conto che quello che è fatto è fatto ed è inutile recriminare sul passato.

Fàga èt la Bèrta 'llóca. Maltrattare qualcuno, fargliela vedere. La Berta Allocca, espressione alla quale non riusciamo a dare un significato.

Fàga i nóne. Si dice quando si fanno le carezze ad un bambino o, meglio, quando gli si struscia la guancia, facendogli sentire la barba che raspa sulla guancia.

Fàga 'ndà la góta al cör. Fargli andare la goccia al cuore. Si dice ad esempio quando si fa ridere troppo un bambino o quando gli si fa desiderare qualcosa troppo a lungo.

Fàga trà 'l bói. Làssega trà 'l bói. Portarlo a ebollizione. Detto di persona significa lasciare che si calmi un attimo prima di contraddirlo.

Fàgla ströcia. Imbrogliare qualcuno. Fargliela sporca.

Fàl sö. Imbrogliare qualcuno.

Fàla de bambo per nó pagà 'l dasse. Fare lo gnorri per non pagare il dazio. Far finta di non capire per non pagare. Simile a “fare orecchio di mercante”.

Fàla de lóch. Fare l'allocco, far finta di non capire. l'allocco è un uccello rapace notturno con l'espressione apparentemente ebete.

Falòpa, falòpia. Faloppa, galletta o bozzolo malriuscito. I bozzoli fallati venivano donati alle suore che, con santa pazienza, riuscivano a ricavarne fili di seta con un'alta percentuale di nodi, quindi di scarsa qualità.

Fàn dét de ènd e de spènd. Fàn dét pèss che Bertòldo. Combinarne di tutti i colori. Combinarne da vendere e da spendere.Combinarne peggio di Bertoldo. Si riferisce probabilmente alla vicende di Bertoldo pubblicate nel 1600 ma facenti riferimento alle novelle che narravano delle furberie del trio Bertoldo, Bertoldino e Cacasenno.

Fastidiùs come öna mosca. Nuiùs come öna mosca. Fastidioso, noioso come una mosca.

Fò d' l'òsti. Và sö l'òsti. Togliti di mezzo.Vai a quel paese.

Fò di beate. Arrabbiatissimo, delirante.

Forbé. Di difficile traduzione. Dobbiamo aiutarci con un esempio. Arriverà prima o poi! a l' rierà forbé! vorrà ben arrivare!

Forbeàch, forbea', forseàch. Fors'anche. Erano forse in tre o quattro: i era forbea' in tri o quàter. Era forse giovedì scorso: l'era forseàch giöedé passàt.

Frèsc de bügàda. Fresco di bucato appena fatto.


Per visualizzare le altre parti dei "Modi di dire":

PARTE 1 (abc) - PARTE 2 (def) - PARTE 3 (ghi) - PARTE 4 (lmn) - PARTE 5 (opqrs) - PARTE 6 (tuvz)

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Tratto da "Osio Sopra, il patrimonio immateriale di una comunità" di Gianpietro Bacis pubblicato per la prima volta nel 2013

(Gennaio 2016)

 

Categoria: Dialetto
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