tn foto09Il Panificio F.lli Testa, a quanto ci risulta, è tra tutti gli esercizi commerciali il più datato ancor oggi esistente in paese: è alla terza generazione. Albertino (Berto) Testa, classe 1933 le ha attraversate tutte e tre. A lui abbiamo chiesto di raccontarci la storia del suo negozio.


Premessa sui negozi di vicinato

MicroOsio con questo articolo avvia un racconto che riguarda i negozi di vicinato [Leggi] ad oggi ancora esistenti nel nostro paese, per porre in evidenza ciò che, in termini di qualità e anche di comodità di servizio, permette loro di resistere alla concorrenza della grande distribuzione.

Si parte dai più “vecchi” del paese per arrivare col tempo a illustrare tutte le opportunità presenti ad Osio Sopra.

Il racconto della loro evoluzione, attraverso interviste e ricordi, può costituire anche una narrazione delle trasformazioni di alcune abitudini che hanno caratterizzato nel tempo la nostra vita di comunità.


Prima di iniziare il racconto dell’attività del suo negozio, Berto chiede di commentare l’articolo che MicroOsio ha pubblicato sull’U.S.O.S. dato che riporta due foto in cui egli, giovane centravanti, è ritratto con la squadra (anno 1950): “Spéta, del fùren a m' parla dopo …làssem vét i foto…”.

Riconosce tutti i suoi compagni: “Chèsto l’è ol Moretì (Seminati Luigi), chèsto l’è ol Ménech Gipù (Domenico Gipponi), dòpo gh'é Angel Fendì, Palmiro Cròtt, Francesco Coleù, Angel Coleù, ol Gualàndris che me l' ciamàa Santos, chesto co la cravata l’è Tunì Ceresöl che a l' giöstàa i balù, dopo gh'è ol Bèbe Cològn, ol Cèchi Strachetì, Pino Morét, Piero Pùfer, Ugo Brügal; ol portér l’era de Ossanesga e me sa regórde mia come a l' sa ciamàa …”.

Berto va avanti a raccontare le avventure e gli aneddoti di partite e trasferte, assai interessanti che forniscono una nota di colore a quanto già narrato a riguardo l’U.S.O.S. (leggi articolo)

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Dopo oltre un’ora, la sua attenzione è riportata, finalmente, all’oggetto specifico dell’incontro: “il Panificio Testa”


L’intervista si dipana tutta in dialetto; per non abusare della pazienza dei lettori e per non dover ricorrere continuamente a traduzione, tutto il racconto di Berto è riportato in … lingua corrente.

 

11 novembre 1939: ad Osio Sopra apre il Panificio Testa

“Avevo solo sei anni quando mio padre Mario venne ad Osio Sopra ad aprire il suo primo negozio in proprio in via Mazzini. Egli rilevò l’ex panificio Scotti che era passato ai nipoti Alfredo e Nando Forlini e che si trovava dove ora c’è il negozio del tabaccaio. Esisteva già sull’angolo di via Mazzini [] e via Maccarini [] anche il panificio F.lli Abati. Mio padre Mario, che veniva da Ciserano, era già un esperto panettiere: aveva lavorato per anni sia in proprio che come capo fornaio nel villaggio di Crespi d’Adda. In via Mazzini ad Osio Sopra c’era anche l’osteria Vitali (la Ròsa) …”.

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Improvvisamente Berto vira il discorso: “Aspetta, fammi vedere di nuovo la foto dell’U.S.O.S; … l’è chèsto ché ol Mario Vitali, al zögàa anche lü al balù 'n de l’U.S.O.S.

Tornando al tema del panificio, Berto inizia a snocciolare i ricordi di come è iniziata la sua esperienza come fornaio.

“Quando sono arrivato ad Osio, siamo nel 1939, ho iniziato a frequentare la 1^ elementare in un’aula al piano terra del Municipio. Dalla seconda in poi sono andato a scuola nel nuovo edificio. Come insegnanti ho avuto le maestre Foiadelli e Caironi.

Mio padre Mario mi ha insegnato presto a fare il pane. Si alzava alle 4 del mattino per impastare. Verso le 6,30 mi svegliava e scendevo in laboratorio con lui fino alle 8; facevo colazione e poi via  a scuola”.

Si sofferma poi a descrivere come si faceva il pane al tempo:

“non avevamo l’impastatrice e tutto era fatto a mano; la sera precedente si impastava la farina col lievito (ol leàt); il massimo dell’impasto arrivava a circa 80 kg perché all’epoca il pane era quasi un lusso e la gente mangiava soprattutto polenta; il mattino dopo alle 4 si cominciava a lavorare l’impasto per fare i vari tipi di pane.

Non si poteva iniziare il lavoro prima delle 4 perché se vedevano la luce accesa si era denunciati; il negozio invece apriva alle 7. I tipi di pane più in uso erano: le banane dette anche “caròtole”; le tartine fatte di pane più morbido; i “micheti” che prendevano forma col taglio centrale della crosta; le “böséle”, fatte di pasta dura più asciutta e con lievitatura più lunga, “ol pà de melgòt”, fatto con il 40% di farina bianca e 60% di farina di mais e che andava mangiato il giorno dopo; “i mantoàne”. Il pane bianco era per le grandi occasioni - ricorda il Berto - un poco come descritto nel film “l’Albero degli zoccoli” dove il protagonista va a comperare due pani bianchi per la moglie che aveva appena partorito”.

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Proseguendo il racconto descrive come avveniva la cottura del pane, condendo il suo racconto di simpatici aneddoti:

“il primo forno era a legna e carbone. Veniva acceso la sera verso le 7 di sera per fare “brasca” a tenuta notturna e poi alimentato a carbone al mattino presto. Il carbone era scarso  e talvolta mancava. C’erano al tempo molti lavoratori disoccupati che per guadagnare qualcosa andavano a far legna; solo che talvolta procuravano legna verde e il forno si riempiva di un acre fumo. L’unico che aveva le scorte di carbone era il Mangili dello stabilimento della Rasica. Egli cedeva ai forni due quintali di carbone per volta ma non erano mai sufficienti…”.

Su questo fatto, il Berto ricorda divertito un episodio:

“Il Mangili una volta al mese si recava dal barbiere a Osio Sotto; il portinaio della Rasica, un certo Gualandris, mandava ad avvisare mio padre Mario. Scendevamo con carretto a fare scorta ulteriore. Una volta abbiamo esagerato e caricammo ben 18 quintali. Solo che il cavallo non ce la faceva a fare la salita che portava alla strada. Noi dietro a spingere ma si facevano pochi metri per volta, con una fifa boia che il Mangili fosse di ritorno e ci scoprisse”.

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Berto riporta anche altri fatti curiosi:

“non c’era acqua corrente e si andava a far rifornimento al Vecchio Pozzo che si trovava nell’attuale via Locatelli []. A quei tempi gli inverni erano molto rigidi, duravano mesi e il motore del pozzo spesso gelava. Allora si andava a prender l’acqua a Mariano al pozzo di piazza Vittorio Emanuele, col “bàsol” e due secchi; solo che sulle stradine ghiacciate, dato che calzavamo gli zoccoli, si scivolava e si perdeva parte del carico. Per non tornare indietro si completava il rifornimento attingendo l’acqua dei fossi; mio padre Mario questo non l’ha mai saputo, ma devo dire che in quell’epoca l’acqua dei fossi si poteva anche bere. In seguito costruimmo una cisterna e quando il pozzo di Osio funzionava facevamo la scorta”.

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I problemi non erano solo quelli del rifornimento del carbone e dell’acqua.

“A prendere lo zucchero, mezzo quintale per volta”, prosegue il Berto, “andavamo a Bergamo in bicicletta; il sale invece era acquistato presso Genio Abati, che aveva i monopolio in esclusiva per Osio. Per la farina si andava al consorzio agrario di Boltiere e veniva assegnata ad ogni forno in base ai tagliandi staccati dalle tessere dei clienti. Qualche volta, su suggerimento del segretario del comune, si faceva finta di sbagliare nello strappo dei tagliandi e, per avere più farina, di uno se ne facevano due; a fare da corriere per il rifornimento era il “Pupulì” Pinotti col suo carretto”.

A questo ricordo Berto fa un’improvvisa virata e ritorna a parlare di calcio:

ol Pupulì col suo carretto ci faceva il servizio di trasporto anche quando con l’U.S.O.S. andavamo a giocare nei paesi abbastanza vicini, tipo a Brembate. Se invece andavamo lontano il don Severo ci metteva a disposizione un pullman. Mi ricordo una volta che per andare a Cisano Bergamasco prendemmo un pullman della Locatelli, nuovo di pacca, di colore rosso fiammante. Appena giunti a destinazione la gente di quel paese si accalcò attorno al mezzo e continuava a dire: urca, Ös Sura al ga de es ü pais de sciòr …[

Tornando alla storia del panificio, Berto completa il racconto di come avveniva il resto degli approvvigionamenti:

“a prender il lievito si saliva in città alta a Bergamo. Mi ricordo, ma non so dire l’anno, che una volta ci fu un lungo sciopero che compromise la produzione del lievito. Allora andavo – avevo già la 600 Fiat – a rifornirmi due volte alla settimana in Svizzera. Dovevo telefonare e prenotare. Purtroppo anche gli svizzeri approfittavano della situazione e alzavano i prezzi e per farsi pagare di più dicevano di aver esaurito le scorte…”.

I ricordi del Berto si spostano poi alla descrizione delle sue prime avventure da fornaio:

“ … al termine della quinta elementare, a 12 anni iniziai a fare il servizio a domicilio, in bicicletta, con la gerla sulle spalle, qualunque fosse il tempo: pioggia, sole o neve mi toccava andare perché i clienti aspettavano il pane di giornata. I primi clienti erano in paese, ma in seguito cominciai a fare le cascine che sorgevano lungo la strada per la Rasica: cascina bianca, cascina rossa, la maera e fino al Mangili direttore della Rasica.

Poi si sviluppò il Villaggio, che tutti chiamavano Polér; il primo cliente fu il Pescarmona che era il Direttore dello stabilimento dei polli. Mi ricordo che abitava in una casa nuova, quella che c’è ancora dove ha il negozio il Céchi. Mi ricordo anche che al Villaggio erano arrivate delle famiglie di sfollati a causa dell’alluvione del Polesine [] (fine 1950, ndr), in tutto una sessantina di persone che erano state sistemate nella villa padronale. Io portavo tutte le mattine il pane anche a loro.

Nel 1950 acquistai il mio primo “guzzettino” [] e la cosa migliorò di molto perché cominciai anche a fare due giri per mattina: al primo giro portavo il pane e prendevo le prenotazioni anche per altri alimenti che vendevamo: pasta, riso, farina di vario tipo, zucchero ecc. che riportavo prima di mezzogiorno. All’epoca si usavano i libretti a credito e segnavo le consegne giornaliere; a fine mese (dopo che il capofamiglia aveva riscosso la paga) veniva saldato quanto dovuto. Esistevano anche famiglie molto povere e mio padre Mario, se non potevano pagare a fine mese, faceva credito e qualche volta regalava del pane.

Con la moto cominciai a servire anche gli abitanti della Capra. Ai Polér mi chiamavano “Berto Prestinèr” [].

Ritornando un attimo indietro nel tempo, nel 1947 il vecchio forno del panificio, che era sempre stato alimentato a legna e carbone, viene sostituito da uno nuovo con funzionamento a nafta. Berto ci tiene molto a rilevarlo:

“Era un Tibiletti, acquistato in via Jenner a Milano, dove dovevo recarmi spesso in moto per ritirare i pezzi di ricambio che si usuravano continuamente… poi acquistammo anche una impastatrice a funzionamento elettrico”.

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All’inizio del 1950 il panificio Testa si trasferisce da via Mazzini in Piazza Garibaldi, dove tuttora si trova, assai ristrutturato rispetto ai primi anni.

“Era la sede del “dazio”, in concessione ad un certo Ronzoni che riscuoteva la tassa per ogni bestia uccisa”, ricorda il Berto che aggiunge anche: “ Mio padre Mario non ha mai smesso l’attività nemmeno in tempo di guerra. Infatti quelli che gestivano un’attività di forniture indispensabili (fornai e macellai ad esempio) avevano la possibilità di prestare il servizio militare a Milano, nel reparto di sussistenza dell’esercito, operando così nel campo del loro mestiere. Mio padre tornava a Osio al pomeriggio in autostop – assieme a lui c’era anche il macellaio Màgher – predisponeva tutto per fare il pane di notte e poi al mattino presto tornava in caserma a Milano”.

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Nel nuovo negozio aperto in piazza, oltre le incombenze del servizio a domicilio, con l’aumento dei clienti Berto ed il fratello Dante (prematuramente scomparso a seguito di un trauma subito per un investimento sull’autostrada) aiutano il padre Mario nel laboratorio mentre al banco si alternano la madre e le sorelle (Carla, Liliana e la Stelì).

Una nota statistica: fino agli anni ’60 ad Osio Sopra funzionavano ben tre forni dato che, oltre al già menzionato panificio F.lli Abati, nei locali di via Mazzini lasciati liberi dai Testa si era insediato di nuovo il panificio Forlini e, in seguito, il panificio Dornetti; inoltre vi erano due rivendite: il negozio del Céchi ai Polér e quello del mülinér Moretti. Al tempo Osio Sopra contava 2500 abitanti circa.

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Berto riporta alla memoria altri aneddoti del periodo, non sempre precisi come collocazione di date, ma ben chiari nei suoi ricordi:

“Non facevamo solo produzione e rivendita. Al forno le donne, con la scusa di comprare pane, venivano anche a … scaldarsi, specie quando intirizzite uscivano da messa prima (che al tempo era alle 5,30 del mattino n.d.r) e, in attesa dell’apertura del negozio, coglievano l’occasione per fare un po’ di salotto e di “radio serva” [] sui fatti del paese.

Ma gli uomini non erano da meno: andavano a far colazione all’osteria del Vitali, “osterèa de la Ròsa”, portando da casa il companatico, in genere pancetta, salame o stracchino, passando dal retro del forno a farsi dare delle michette dal Mario. All’osteria consumavano solo il vino. La domenica poi il Mario, terminato il lavoro alle 7 di mattina, faceva spesso un ritrovo presso il forno della combriccola di suoi amici: lui ci metteva il pane, gli altri portavano il resto delle cibarie e il beveraggio.

Ah, per la festa (gergo per indicare la domenica) facevamo anche il “pa de öa e ol pa de fich” che erano una specialità per il tempo”.

 

Dalla seconda alla terza generazione del panificio

Mario Testa, classe 1907, il capostipite del panificio omonimo, muore nel 1972 e Berto deve assumersi la responsabilità completa del forno. La clientela è abbastanza consolidata e per star dietro a tutte le richieste e garantire il servizio a domicilio, assume un operaio e un apprendista. Si è alla seconda generazione del panificio e negli anni in cui cominciano a sorgere i primi supermercati ed a diffondersi la produzione industriale del pane.

La fidelizzazione dei clienti rimane il punto forte dei panifici di paese; tuttavia anch’essi si devono adeguare ai nuovi gusti e soprattutto all’aumentato benessere della popolazione.

Per far questo i laboratori vengono ampliati e dotati di tecnologie e attrezzature in continua evoluzione. Per un certo periodo il Panificio Testa rimane l’unico a produrre pane in Osio Sopra, dato che il forno dei F.lli Abati (in più “vecchio” del paese) e quello del Dornetti (precedentemente Forlini) chiudono.

Aumentano invece le rivendite. Con il crescente benessere della popolazione, il pane diventa di uso quotidiano in tutte le famiglie. La polenta, l’alimento “povero” e fino allora sostitutivo del pane, rappresenta in famiglia quasi una specialità in tavola, specie nei giorni di festa, come accompagnamento ad arrosti e brasati.

Berto regge l’attività di fornaio per altri trent’anni, avviando nel contempo al mestiere i due figli Valter (classe ’64) e Stefano (classe ’67) ai quali nel 2002 cede definitivamente l’intera gestione. Da allora il negozio prende la denominazione di “Panificio Fratelli Testa”.

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Valter e Stefano

Ad oltre 70 anni dall’apertura dell’attività del Panificio Testa, con i due rappresentanti della terza generazione Valter e Stefano è d’obbligo affrontare il tema della difficoltà che i “negozi di vicinato” devono superare per la concorrenza pressante della grande distribuzione, ma non solo.

“Vi sono tanti aspetti da considerare”- affermano - “ Innanzitutto l’errata informazione che il pane, in generale, faccia male per un’idonea alimentazione. E qui è utile mettere un punto fermo: c’è da distinguere tra pane artigianale e quello della grande distribuzione ma soprattutto quello a prezzi stracciati”.

"E’pur vero che, in tempo di crisi come questo, molte persone sono indotte a scegliere alimenti di basso costo. Tuttavia in tema di salute sarebbe opportuno un occhio di riguardo. Come in altri settori, prodotti sottocosto spesso sono confezionati con elementi di surrogato".

“Già nonno Mario sceglieva solo ingredienti sani e genuini come quelli che scegliamo noi ancora oggi. Ad esempio oggi si cerca di tornare indietro per quanto riguarda le farine e cioè stiamo usando farine non troppo lavorate, con più fibre, usando lievito madre che dà più sapore e fragranza e nello stesso si mantiene più a lungo nel tempo. Crediamo che il nostro punto forte sia il fatto che produciamo molte qualità di pani e tutti artigianalmente con farine di qualità senza ricorrere a prodotti surgelati; certamente questo comporta un costo maggiore ma dà anche garanzia al cliente”.

"Un altro aspetto Stefano e Valter intendono sottolineare: il diffondersi dei punti di distribuzione del pane: “il pane ormai lo vendono tutti, manca appena che lo si trovi dal farmacista, dal tabaccaio o in edicola”. E’ solo questione di comodità? “Sarà anche, ma noi garantiamo il servizio a domicilio, come faceva nostro padre Berto, anche in paesi limitrofi. Inoltre, se richiesto, procuriamo anche altri prodotti alimentari: dagli affettati alla pasta prodotti in scatola e specialità sott’olio ecc. sempre con scelte solo di qualità”. Basta questo per reggere la concorrenza della grande distribuzione? “Certamente no".

"Per distinguerci dalla concorrenza già 13 anni fa, e cioè nel 2003, abbiamo cercato di eliminare il maggior numero possibile di prodotti che vende anche la grande distribuzione, puntando sempre sull’eccellenza di quanto offriamo. Anche se abbiamo un vasto assortimento di prodotti (vedi tabella allegata) ciò sembra non bastare. Per questo, abbiamo approntato anche un servizio per ristorazione e cerimonie”.

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Carrellata di prodotti del Panificio Testa

Per i piccoli negozi di paese, oltre le crescenti esigenze dei clienti e la concorrenza, vi sono anche altri problemi a monte che spesso non sono considerati. Oltre il rispetto di rigorose normative d’igiene e sicurezza alimentare, ci stanno la formazione continua e l’aggiornamento costante delle attrezzature.

Se il tutto viene confrontato col racconto del Berto rispetto alla situazione della prima generazione (un tempo bastavano un forno a legna e carbone e buoni muscoli per impastare, anche se sussistevano precarie condizioni di approvvigionamento) si può comprendere quanto sia più difficile oggi gestire un’attività commerciale legata alla produzione in proprio:

“ anche se abbiamo oggi il forno rotor (a convezione), il ferma biga e la cella ferma lievitazione (armadi frigo per lievitazione d’impasti), la formatrice, la spezzatrice, la stampatrice e un sacco di altre attrezzature, comunque al mattino ci si deve alzare sempre alle 3.00; il week end poi non è da considerare perché ci sono da preparare le specialità della domenica (ancora un rito per i clienti), pane fresco come il “brichetto” di tipo ferrarese che facciamo da oltre 70 anni, pasticceria varia ecc…”.

 

Conclusione sui negozi di vicinato

Come già specificato, MicroOsio ha avviato la presentazione dei negozi di vicinato del nostro paese, partendo dai più “vecchi” in termini di presenza sul territorio. Per “par condicio”, non sussistendo intenti di pubblicità, saranno considerati nel tempo tutti gli esercizi commerciali della stessa tipologia. Parlare dei negozi del paese è anche un modo per evidenziare il mutamento costante delle esigenze (usi e costumi) di un piccolo contesto sociale come è il nostro nonché per mettere in rilievo come in tale piccolo contesto possono essere ricoperte nicchie di alta qualità dei prodotti.

Infine, ma non di minore importanza, è un modo anche per comprendere il grado di professionalità e di intraprendenza richiesto oggi ai giovani che intendono avviare la gestione di un esercizio commerciale. Proprio le difficoltà create da una diffusa concorrenza in un giovane possono trasformarsi in un incentivo a mettere in campo idee e progetti, soprattutto riguardanti la qualità di prodotto e l’attenzione ai clienti; fatti che la grande distribuzione non sempre è in grado di poter garantire. 

 

Trattando questo articolo il tema del pane, a tutte le persone di Osio Sopra che sono impegnate nella sua produzione dedichiamo un paio di poesie in dialetto bergamasco e a tutti i consumatori una serie di proverbi classici sul pane [Leggi].


 

Alcune curiosità e … statistiche


1)

Il sito internet www.ifood.it riporta delle curiosità su come veniva fatto il pane nei tempi antichi [leggi]


2)

Secondo i dati diffusi da Coldiretti in occasione della Giornata del pane ad Expo Milano 2015, il consumo di pane degli italiani è sceso nel 2014 al record negativo di circa 90 grammi, pari a meno di due fettine di pane al giorno (o due rosette piccole) a persona.

Nel 1861, anno dell’Unità d’Italia, si mangiavano ben 1,1 chili di pane a persona al giorno. Da allora si è verificato un profondo cambiamento degli equilibri nutrizionali della dieta con un progressivo contenimento dei consumi di pane che nei tempi recenti sono scesi nel 1980 intorno agli 230 grammi a testa al giorno, nel 1990 a 197 grammi, nel 2000 a 180 grammi, nel 2010 a 120 grammi e nel 2012 a 106 grammi per arrivare a meno di 100 grammi già nel 2013.

Per contrastare il calo dei consumi e riavvicinare i consumatori in provincia di Bergamo sono state introdotte delle novità, come la Garibalda [leggi ricetta], oppure sono state reinterpretate e riproposte tipologie dimenticate, come la Busella (Böséla) pane tradizionale di Bergamo, rientra nella tipologia “a pasta dura”, dall’impasto uguale a quello mantovano, dal quale si differenzia per la lavorazione e la forma, un pane dunque tipico del territorio (citato anche da Bert nella sua intervista) che, dopo un periodo di oblio, è ricomparso nelle vetrine di alcuni panifici.

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La mappa del pane in provincia di Bergamo nel 2015: residenti 1.107.44; negozi produzione e vendita: 562; abitanti per negozio: 1.971; la media lombarda: 2025 abitanti per negozio.

3)

Un dato storico, riguardo alla presenza di panifici ad Osio Sopra all’inizio del XVII secolo, è tratto da un atto notarile (20 ottobre 1619 – notaio Gabriel Donadoni) che si riferisce ad un bando del comune per l’assegnazione di due forni per produrre il pane per la popolazione del nostro paese; essi erano situati in “stalli” i cui edifici erano di proprietà comunale. Vi era un forno “vecchio” assegnato in affitto ad un certo Paulo Donzello che “ha offerto più degli altri” con contratto di 3 anni più tre anni per somma annuale di 433 lire, con pagamento della prima metà entro 6 mesi e l’altra metà nella “festa di Santo Martino”. Il secondo denominato “forno novo” era situato “appresso la porta d’esso stallo con le case del comune in castello” e fu assegnato ad un certo Francisco Arnoldi detto Barbalio per la somma di duecentoventi lire ogni anno.

Curiose erano anche alcune clausole del contratto: “… li forni siano incantati (incanto a bando - ndr) e affittati separatamente l’un dall’altro … e che siano anco esercitati separatamente cioè quello che eserciterà uno non possa esercitare l’altro; e questo per comodità del Populo, che se non piace uno possa andare dall’altro fornaio a suo gusto… che li detti forni non possano essere affitati a persona che non sia del Comune predetto … che i forni li debano essercitar solamente loro medesimi et tutti i suoi di casa uniti personalmente et neanco sublocarli a persona alcuna … che detti fituali fornari debbano cocer il pane ben condizionato … et che essi fornari piglino solamente una quarta di pasta per ogni quindici lire di farina per sua mercede …”.

La popolazione di Osio Sopra al tempo, secondo quanto riporta Giovanni da Lezze in un suo libro del 1596, era: Fochi (famiglie) n. 55, anime 440.


 V.F. (Giugno 2016)