tn rogazioniOspitiamo con grande piacere un altro bel racconto di Alessandro Pelicioli.


L’entusiasmo e la foga dei miei undici anni mi tennero sveglio tutta la notte: come si poteva dormire al pensiero di quanto sarebbe accaduto? Da sotto le coperte aspettavo di sentire la casa destarsi e appena scorsi i passi di mio padre, in un sol vento mi alzai, mi lavai al catino e pur essendo lunedì, indossai l’abito della festa.

Il tempo di un bicchiere di latte e mi buttai fuori di casa: camminavo, soprattutto per evitare le urla di mia madre ma, appena superato il muro della cascina, cominciai a correre in quella distesa di campi bagnati d’albeggiare e di rugiada. Correvo, sì, ma tutto storto e se qualcuno mi avesse visto avrebbe creduto ch’ero diventato zoppo tutto d’un tratto: la mia andatura, invece, era strana solo perché tenevo una mano nella tasca dei pantaloni dov’erano tre noci – poteva forse non apprezzarle e sorriderne? - rubate dal tavolo della cena, la sera prima.

Arrivai alla chiesa con il fiatone. Feci giusto in tempo a tirare un grande respiro che le campane buttarono il loro suono sul primo raggio di sole: mi guardai intorno. Ero il primo. 

Entrai nella canonica tutto felice - Don Aldo mi aveva già promesso il più ambito dei ruoli per quella mattina, così come per i due giorni seguenti –  e mi bastò scorgerlo, con il suo abito nero da suora, per ritrovarmi a chiedere: “Dov’è la mia croce?”

Don Aldo strabuzzò gli occhi - non s’aspettava che fossi già li e tanto meno una simile domanda - quindi si mise a ridere e senza ribattere posò la sua mano sulla spalla, per poi incamminarci insieme verso la sacrestia.

In una manciata di minuti arrivarono anche gli altri chierichetti: i loro occhi si riempirono d’invidia quando appresero che per loro v’erano solo i due candelabri, il campanello e l’aspersorio, poiché il prestigio della croce sarebbe toccato a me. Circondati dal silenzio, da quadri ex-voto e santi sofferenti, indossammo le vesti per la cerimonia: mi veniva da sghignazzare, perchè quel prepararci avveniva in un’atmosfera da trattoria, dove tutti gli avventori fingevano di ignorare - pur  gettando, sguardi di sospetto e cattiveria  - quello ch’era il farabutto, il brigante ch’era nei dintorni: me.

Poteva interessarmi? Macché… A me solo importava la gloria di guidare con la croce in mano, la processione lungo quelle strade di polvere che attraversando campi e prati, avrebbe raggiunto ogni santella. Senza dimenticare poi, che assolvendo quel compito mi sarei anche ingraziato Dio: se era in grado di aiutare quella terra dandogli frutto e sostanza, perché non avrebbe dovuto aiutare anche me, dopo quella collaborazione? Sarebbero già bastati questi ragionamenti per sentirmi al settimo cielo, ma c’era di più… C’era infatti modo di mettersi in luce agli occhi di Maria. Maria, sì, più bella della madre di Gesù, Maria, la figlia del prestinaio. 

Scoccarono le sei e Don Aldo ci invitò a seguirlo: uscimmo sul sagrato dove - giusto il tempo di organizzare il da farsi - sarebbe cominciata la rogazione: passammo quindi in mezzo alla gente per guadagnare la testa della processione ed in quel breve tragitto - proprio come prevedevo - incrociai Maria ed il suo sguardo. Ci sorridemmo con le labbra e con gli occhi e vista l’autorità del mio ruolo, mi fermai quel tanto per sussurrarle: “Quando abbiamo finito tutto, ho una sorpresa per te: seguimi fin fuori dalla sacrestia!”.  

Mi misi allora alla testa del corteo in attesa che Don Aldo cominciasse la cerimonia: io ancora mi stavo chiedendo cosa Maria avrebbe deciso di fare, quando la sua voce svuotò il silenzio e ci muovemmo.

Kyrie elèison, Christe elèison Kyrie …

Passo dopo passo la guazza mattutina e l’aria primaverile lambivano le mie scarpe, mentre il mio sguardo vagava richiamato dalle nuvole, dal volo degli uccelli o dagli alberi in fiore.

Sancte Nicolae, ora pro nobis. Sancte Antonine, ora … 

Chissà se tutti quei campi, dispiegati intorno a noi, sentivano che il nostro camminare era diverso dal solito: non il quotidiano incedere di aratura o mietitura; ma piuttosto un camminare di passi carezza, di andatura attenzione, di piedi premura auguranti solo abbondanza?

Sancte Bernarde, ora pro nobis. Sancte Francisce, ora … 

II bello però, avveniva allorquando ci fermavamo vicino alle tribuline e tutta la processione si disponeva a semicerchio intorno agli officianti, permettendo così a noi chierichetti di guardare tutti i fedeli. In quei frangenti cercavo sempre di scorgere Maria, ma non ci riuscivo mai, perché il mio sguardo veniva risucchiato da quegli abiti scuri - puliti anche se sporchi di vita - dai quali sporgevano volti che, ne ero certo, nella vita quotidiana dovevano esprimere maggior felicità per la nascita di vitellino che per quella di un bambino, maggior premura per la terra che non per la propria moglie. Il gomitolo di gente si attorcigliava intorno a noi, poi Don Aldo attendeva che il brusio si spegnesse: solo a quel punto gli passavo la croce e, mentre la liturgia s’accendeva, io verificavo che nella tasca vi fosse ancora il suo preziosissimo contenuto.

Il sacerdote una volta presa la croce, l’alzava, gettando prima un' occhiata al cielo e poi a tutti quei campi, seguendo chissà quali invisibili segnali: forse l’impercettibile battito d’ali di una farfalla? Oppure il suono della terra crepata da un lombrico o magari il cigolio ch’era lo schiudersi dei fiori? E così continuava a fare: lo sguardo in alto a raccogliere dei semi, riabbassandolo poi per spargerli, finché, a semenza divina finita, poteva finalmente nascere il grido ch’era intimazione e dolcissimo canto: 

A subitanea et improvísa morte. Ab ira, et odio, et omni mala voluntate …

L’elencazione continuava senza esitazioni e Don Aldo era così concentrato a sgranare latinismi - impegnato com’era a rivelare, strappare e rendere innocui tutti i timori di quella gente - che sembrava nemmeno aspettasse il “Libera nos Domine” dell’assemblea. 

A fulgure, et tempestate. A peste, fame, et bello …

Solo quando non v’era più alcunché di cui liberarsi, don Aldo s’interrompeva per prendere l’aspersorio ed annaffiare tutto e tutti: l'aria tersa gaia di primavera, quegli uomini di terra e tutti i loro poderi colti od incolti che fossero, affinché tutto divenisse inattaccabile pala d’altare sulle invisibili pareti della chiesa ch’è la natura.

Questa cerimonia dell’andare-fermarsi-benedire la ripetemmo più volte: era straordinaria! Straordinario era anche il comportamento di quegli uomini che, seguendo il gesticolare del prete, mutavano la loro rozza apparenza nella meraviglia di un bambino dinanzi all’arcobaleno o alla neve; così come straordinarie erano le bocche delle anziane, quando tessevano quelle preghiere mute, nate e morte sulle loro labbra apparentemente tremanti dal freddo. Ma dopo un po’ tutto questo straordinario mi venne a noia: dolevano i piedi, le braccia erano stanche e dentro quel vestito da chierichetto iniziava a far caldo … Ma soprattutto avevo una voglia matta di capire cosa avrebbe fatto Maria.

Grazie al cielo, il campanile non era troppo lontano e, vedendolo sempre più vicino, riuscii a farmi forza e a resistere: mi sentii quasi miracolato quando giungemmo sul sagrato della chiesa.

Agnus Dei, qui tollis peccàta mundi. Agnus Dei, qui tollis ... 

Un’ultima benedetta benedizione, quindi il corteo si sciolse e l’intero paese andò lentamente incontro alle sue faccende di fatica e di mani.

Tirando le somme: nessuna titubanza nello scegliere le strade e tanto meno sballottamenti o cadute alla croce. Ero stato bravissimo! Malgrado questo, però, le farfalle nello stomaco mi rendevano irrequieto impedendomi di capire se tenevo più paura di incontrare o di non incontrare Maria. Che malefica congiura: se solo mi fossi deciso, avrei potuto chiedere l’intervento divino che, alla luce della mia professionalità di chierichetto, non sarebbe certamente venuto meno. Ed invece …

Ed invece ci incamminammo verso la chiesa: io titubante e impaziente, Don Aldo sorridente e gli altri chierichetti ancora in combutta con me, per la faccenda della croce portata da me, per di più, senza disastri. Stavamo per varcare la porta della sacrestia quando sentimmo una voce chiamare: “Alessandro!”

Siiii! Noooo … 

Era solo la maestra, che m’invitava a spicciarmi ad andare a scuola. Rimasi deluso e di stucco, tant’è che continuai a fissarla sconsolato. Fu a quel punto che avvenne la visione: appena la maestra si voltò e tornò sui suoi passi, intravidi alle sue spalle Maria - la donna copriva la bambina, poiché sulla stessa linea - in procinto a raggiungermi.

Scoppiai in un sorriso e senza sapere dove andò a finire la croce – tenuta gelosamente, fino a un attimo prima, fra le mani – mi ritrovai dinanzi a lei. 

Dissi: - Chiudi gli occhi, e non aprirli finche non mi senti dire “Sorpresa!”. Va bene?

- Va bene. – Rispose lei.

Infilai la mano in tasca, vi tolsi quanto c’era da togliere. 

Presi la mano di Maria, gli aprii le dita e vi poggia le tre noci. 

Le guardai, guardai il suo viso e poi … 

E poi corsi verso la sacrestia, gridando a squarciagola: “Sorpresaaa!”.


Alessandro Pelicioli (Luglio 2015)


Le “Rogazioni”

“Tre noci, un giorno” è un breve racconto che s’impernia sul tema di un rito, ormai caduto in disuso, che legava strettamente l’uomo e la sua sopravvivenza alla natura: le rogazioni.

Le Rogazioni (dal latino rogare: chiedere, pregare) erano particolari processioni primaverili con le quali la civiltà contadina manifestava la propria fede nei confronti dei Santi e Dio, affinché costoro proteggessero i campi dalle malattie così come dalla grandine, dalle tempeste e dalle disgrazie.

Le Rogazioni Minori avevano avvio alla festa di San Marco (il 25 aprile ed i due giorni seguenti): all’alba di quelle mattine tutta la gente del paese si radunava davanti la chiesa principale da cui poi si snodava la processione, della durata di alcune ore, che andava a lambire tutto il territorio della parrocchia.

In questo modo tutte le terre coltivate potevano assistere ad un segno tangibile dell’umana fede posta in Dio, fede che veniva espressa attraverso litanie e benedizioni.

Nota di redazione

Il tema delle Rogazioni e delle altre manifestazioni religiose della tradizione di Osio Sopra, verra affrontato con una rticolo specifico, corredato dalla documentazione fotografica sull'argomento.