tn magriTra le celebrazioni per il centenario della Grande Guerra, il portale Bergamo News il 4 Novembre 2015 ha pubblicato questo scritto del concittadino Alessandro Pelicioli. L'articolo ricostruisce la storia dei tre fratelli Magri: Domenico, Battista e Giuseppe e la figura di Teresa Lena, che rimasta vedova, sposerà un vedovo con cinque figli. Una storia come tante, ma che va ricordata per non dimenticare la forza dei cittadini comuni che seppero affrontare grandi tragedie familiari in un contesto nazionale sicuramente non facile.

Ogni paese ha i suoi caduti di guerra e legati ad essi, vi sono storie, aneddoti, episodi che pur non finendo nei libri di storia, ugualmente risuonano grazie a quella memoria individuale, ormai fragile eco di ricordi e reminiscenze. Eco che ha senso riprendere ed imbastire tramite questo articolo, pur sapendo che i fatti narrati non avranno in sé nulla di “eccezionale” se non una rara umanità ed un disegno del destino che riguarda direttamente la mia famiglia.

La storia in questione è ambientata ad Osio Sopra, piccolo paese a sud di Bergamo, negli anni successivi alla prima guerra mondiale, quando la popolazione locale superava di poco le 1400 unità (i registri comunali del 1915 dichiaravano 1409 abitanti) cifra che già scontava le 23 giovani vittime - 19 morti al fronte e 2 per ferite, 2 dispersi – trangugiate da una mattanza bellica che arrivò a mietere nella sua totalità circa 26 milioni di vite. 

E se è vero che tutti i lutti provocarono ovunque lo stesso dolore, vi furono famiglie in cui la disgrazia si accanì, portandosi via più di un componente. Circostanza questa che occorse anche nella comunità osiense, dove la famiglia Magri subì il triplice lutto relativo a tre fratelli:

    • Domenico caduto a Trusuye nel 1917
    • Battista caduto a Misurata (Libia) 1918
    • Giuseppe morto per ferite nel suo paese il 1918.

Tragedia immensa che nella sua vastità spinse le rappresentanze comunali ad erigere già nel 1923 un monumento che di lì ad un ventennio avrebbe accolto anche la lapide con i nomi delle 22 vittime del secondo conflitto mondiale; nonché ad intitolare nel 1951, le scuole locali ai Fratelli Magri, con il naturale auspicio che il sapere divenisse l’antidoto più semplice ed efficace a simili episodi.

Quanto vissuto dalla popolazione civile deve essere stato tremendo se rapportato ai racconti di quell’estrema commozione vissuta in occasione del 4 novembre, ricorrenza della fine della I Guerra Mondiale, che rimase intatta e solida nella purezza degli intenti fino agli anni 80.

La presenza dei reduci e di coloro che vissero sulla propria pelle quanto si andava a celebrare, infatti impediva quella retorica o quell’annacquamento di senso che oggigiorno, talvolta, caratterizza simili circostanze.

In simili occasioni, la piazza era sempre gremita di famigliari e vedove dei commemorati e sempre una banda intonava l’inno nazionale: se negli occhi di tutti gli adulti v’erano lacrime, negli sguardi dei bambini non poteva che esservi un vago alone di tristezza, dovuto all’incapacità di comprendere il senso profondo della parola “guerra”.

Fra coloro che ad Osio Sopra sempre parteciparono con viva commozione alle ricorrenze del 4 novembre v’erano anche i protagonisti di questa storia, un uomo ed una donna, che in quel contesto si ritrovarono a fare i conti con il proprio passato: Lena Teresa che, non ancora 30enne, si ritrovava senza figli e vedova di Domenico Magri (uno dei fratelli di cui dicevamo sopra) e Pelicioli Pietro classe 1882, anch’esso combattente alpino, rimasto vedovo all’inizio del 1919 e con 5 figli ancora da crescere, le cui età andavano dai 7 ai 15 anni.

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Teresa e Pietro, che di lì a poco andarono a risposarsi, unendosi in matrimonio il 20 ottobre 1919. Fortunoso fiorito innesto di una vita dentro altre vite, che portò quella vedova a divenire nuovamente moglie ma anche madre adottiva di cinque bambini. Maternità che non venne mai vissuta come ostacolo o criticità, ma che anzi divenne garanzia per quelle cinque creature di un futuro diverso ed in prospettiva di una genealogia che li portò a mettere al mondo 31 figli con tutto ciò che, in termini di vite e di gesti, ne consegue.

La figura di Teresa è sempre stata cara, seppure nella distanza, nella mia famiglia: fu la mia bisnonna adottiva – mio padre è figlio dell’ultimo genito di quei cinque figli da lei “adottati”, Battista classe 1912 – e sebbene non l’abbia personalmente conosciuta (fra la sua morte e la mia nascita vi sono 14 anni), la sua persona mi è stata sempre offerta come esempio di devozione e costanza, di amore disinteressato ed assoluta fiducia nel futuro, malgrado la concreta fatica che era il vivere in quei tempi.

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Un esempio, sia che si parlasse di lei relativamente allo stancante e tradizionale contributo che le donne davano lavorando i campi, sia nell’incarnare quell’esigenza educativa, che pur non passando per le scuole, insegnava il senso del dovere, dell’onestà e dell’impegno.

Del suo vivere incarnando carità, cura concreta così come generosità, mi sono in particolar modo affidate due immagini: due classici episodi, ripetuti e raccontati ad ogni occasione che quindi son divenuti indelebili e preziosi ricordi. 

Il regalo di nozze di 20.000 lire a favore dei miei genitori nel 1965, con il quale poterono coprire un quarto dei costi dell’intero viaggio a Roma. Ed il sorriso di complicità nei confronti dei suoi nipoti acquisiti, fra cui mio padre – sorriso che caratterizzò ogni giorno della sua vita – il cui fine, era tanto innocente quanto raro era lo zucchero negli anni cinquanta: zucchero che grazie alla connivenza della stessa Teresa, veniva ottenuto barattando qualche pezzo di un comune ma prezioso legno, sottratto di nascosto dal fienile.

La storia è tanto nei libri, quanto nei ricordi di chi ci sta vicino: sfogliamo pagine, leggiamo parole, ma facciamo anche domande e mettiamoci in ascolto di quelle testimonianze più preziose, poiché fragili come ogni vita, che sono i nostri nonni, i nostri genitori.

Solo attraverso questo rapporto che unisce il seme al frutto, è possibile salvare ciò che pur essendo superfluo per gli storici, per una famiglia diviene e resta essenziale.


Alessandro Pelicioli (4 Novembre 2015)

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